Anche nel Medioevo, come nell’Antichità, le opere di Virgilio fanno parte del canone scolastico[1] e di conseguenza sono soggette ad un’azione normativa e centripeta.
In particolare, tutti i manoscritti virgiliani dei secc. IX-XI presentano alcune caratteristiche comuni, sia nella struttura esterna sia in quella interna, che riflettono la ricezione e la fruizione del testo di Virgilio in Europa nell’alto Medioevo (Distribuzione geografica e temporale dei manoscritti di Virgilio tra IX e XI sec.).
Il ‘libro altomedievale’ di Virgilio generalmente è munito di una massiccia armatura pedagogica, articolata in una serie di testi accessori che introducono il lettore alla lettura del testo virgiliano (vd. PARATESTI) e in un apparato esegetico condensato nelle annotazioni che accompagnano il testo pagina per pagina (vd. TESTO E COMMENTO).
L’uso di segni speciali (e.g. notazione sintattica o neumatica, note tironiane) e la presenza di glosse vernacolari contribuiscono a dimostrare l’intensità con cui questi libri furono consultati e annotati.
La lettura è agevolata anche dalla punteggiatura, dall’impaginazione e da distinzioni testuali, come titoli, didascalie, litterae notabiliores, segni di paragrafo. Le sezioni così individuate sono ulteriormente poste in risalto e impreziosite dalla decorazione e, in alcuni casi, dalla presenza d’illustrazioni (vd. SEGNI SPECIALI e DECORAZIONE).
Tutti questi elementi testuali e figurativi acquistano un significato preciso grazie alla loro accurata disposizione nello spazio della pagina (vd. MISE EN PAGE).
Il ‘libro altomedievale’ di Virgilio è il risultato di un processo iniziato nella tarda antichità: gli Argumenta sono già presenti nel Romanus, e, pur se in una versione isolata, nel Pap. Antinoopolis 29; quest’ultimo esemplare esibisce i titoli e i primi versi di un componimento in rubro, come il Mediceo e il Palatino, nei quali inoltre compaiono anche segni di paragrafo. Per quanto riguarda l’ornamentazione, oltre alle iniziali decorate caratteristiche dell’Augusteus, le miniature del Romanus e del Vaticano costituiscono un precedente imprescindibile per l’analisi di qualsiasi ciclo figurativo di tema virgiliano. Infine, i codices antiquiores sono stati corretti e variamente glossati, come nel caso de Veronensis e del Mediceo.
I radicali cambiamenti intervenuti nel VI e VII sec. hanno senz’altro influito su quest’evoluzione, e i frammenti dell’VIII sec. mostrano che ormai un nuovo tipo d’impaginazione e di organizzazione della pagina si è ormai affermato. Tuttavia, alcuni elementi suggeriscono che la trasformazione fosse ancora in atto a questo stadio: il frammento virgiliano più significativo (Par. lat. 7906) si distingue dai testimoni virgiliani successivi per una diversa selezione dei contenuti (vd. LA TRANSIZIONE).
A quanto pare solo nel IX sec. viene definitivamente stabilito un modello di libro che, pur con alcune variazioni, resterà incontrastato per almeno tre secoli.
Distribuzione geografica e temporale dei manoscritti di Virgilio tra IX e XI sec.
Una mappatura precisa dei manoscritti virgiliani prima del XIII sec. è difficilmente tracciabile, in assenza di elementi precisi che consentano senza ombra di dubbio di precisare data e luogo per ciascun codice. Tuttavia, in base a vari criteri (analisi della scrittura, delle note di possesso, delle illustrazioni) è possibile formulare delle ipotesi verosimili che consentono di individuare delle tendenze generali (vd. Holtz[1] e Munk Olsen[2]).
In primo luogo, i manoscritti conservati prima del XII sec. si concentrano in due periodi: all’incirca la seconda metà del IX sec. e la fine del X e l’inizio dell’XI sec. Questa circostanza non sembra casuale (come, al contrario, la scomparsa di manoscritti in altri periodi), ma testimonia indiscutibilmente un fervore di studi attorno al testo di Virgilio.
D’altra parte, mentre fino al IX sec. quasi tutti i manoscritti conservati provengono dal territorio corrispondente all’attuale Francia (e, in parte minore, dalla Germania), successivamente si nota una maggiore diffusione dell’opera virgiliana in tutto l’impero carolingio (comprese le frange estreme, come Inghilterra e Spagna) e in Italia meridionale.
IX | X | X-XI | XI | |
Francia | 31 | 5 | 1 | 4 |
Germania | 8 | 3 | 4 | 4 |
Inghilterra | 4 | |||
Italia (N) | 2 | 2 | ||
Italia (S) | 2 | 7 | ||
Spagna | 1 | |||
Austria-Svizzera | 1 | 1 | ||
NC | 1 | 7 | 6 | 18 |
L’impressione che si riceve da questi dati orientativi è che la fortuna del testo di Virgilio abbia conosciuto una prima fase ‘francese’, che registra un’esplosione dopo l’850, probabilmente a causa della proliferazione delle copie e del consolidamento nella pratica scrittoria e scolastica di uno standard definito all’inizio del secolo. In seguito, questo modello viene esportato e arricchito in altri centri, cosicché si può definire una seconda fase ‘europea’ della fortuna del testo, che culmina due secoli dopo. Nel frattempo anche altri autori classici (specie Orazio e Ovidio) erano entrati nel canone scolastico: la concorrenza con questi testi e la necessità di selezionare un numero contenuto di letture indispensabili ha probabilmente aver condizionato anche la tradizione di Virgilio: a partire dal X sec. sono testimoniate edizioni separate dell’Eneide (il primo esempio è il Florent. Laur. Ashb.23), poema a cui soprattutto nel XII sec. verrà data la preferenza rispetto a Bucoliche e Georgiche (spesso raggruppati con l’Appendix come Carmina minora). Un altro fattore che può aver influito sullo sviluppo di questa tendenza è l’influsso del commento di Servio, che si apre appunto con l’Eneide per passare ai poemi minori.
Invece tutti i manoscritti di Virgilio del IX sec. (e una buona parte dei manoscritti di X-XII sec.) presentano contestualmente le tre opere, nell’ordine già consolidato nella tradizione più antica (Bucoliche, Georgiche, Eneide): da questa probabimente, oltre che dall’organizzazione del lavoro di copia, deriva anche l’uso di far corrispondere l’inizio di un’opera all’inizio di un nuovo fascicolo[3], che si osserva a volte anche nei manoscritti carolingi (vd. Bern. 172+Par. lat. 7929-I; Guelf. Gud. lat. 70).
Estratti virgiliani in manoscritti di altri autori non sono molto frequenti nel IX sec.; Holtz[4] ha segnalato due casi: un codice liturgico tedesco della prima metà del IX sec. (Guelf. Weiss. 91) e una raccolta di carmina christiana dela metà del IX sec. probabilmente confezionata a Laon (Bern. 455). Lemmi di Virgilio compaiono anche in alcuni florilegi prosodici, tra cui in particolare l’Opus Prosodiacum di Mico di Saint Riquier (ca. 840), gli Exempla diversorum auctorum contenuti nel Reg. lat. 215 (Laon, IXex.), e un florilegio premesso ad un commento a Giovenale nel Sangallens. 870 (Reichenau, metà del IX sec.)[5].
I florilegi sono una delle tipiche manifestazioni dell’approccio agli auctores nel Medioevo, basata su una parcellizzazione e una transcodificazione del testo, che risulta così ridotto a un insieme di exempla ad uso scolastico. Parallelamente si era sviluppata la letteratura degli accessus e dei commenti, che costituivano dei percorsi obbligati per accostarsi ai testi classici, come dimostra la loro cospicua presenza nei manoscritti carolingi contenenti il testo integrale degli auctores[6].