Memoria letteraria

Le citazioni, reminiscenze, allusioni a versi di Virgilio in autori di prosa e poesia, spesso basate sulla memoria e non legate ad interessi filologici, dimostrano, ancora una volta, la presenza di Virgilio come “testo totale” nella memoria letteraria e culturale dell’Occidente romano: per un profilo della questione, si veda Tarrant.

Non mancano, tuttavia, i casi in cui tali riprese offrono un contributo alla critica testuale.

Per la prosa gli esempi più interessanti si ritrovano in autori antichi come Quintiliano e Seneca, o in grammatici più tardi, per esempio Carisio e Prisciano. Un’utile raccolta di citazioni virgiliane, comprendente anche i glossari, si trova nei volumi delle IVM.

In Epist. 58.3, ad esempio, Seneca cita correttamente Aen. 12.709 inter se coiisse viros et cernere ferro. 

Fatta eccezione per la prima mano di P (Vat. Pal. lat. 1631) e un manoscritto carolingio (y=Par. lat. 10307), cernere si è perso nella tradizione diretta e in Servio (vedi comm. a georg. 2.256 e ad Aen. 2.508), sostituito dall’ametrico e banalizzante decernere. La citazione di Seneca, inserita in una lettera che deplora l’impoverimento della lingua latina e il disuso di alcune parole brevi ed efficaci, offre supporto ad una lezione corretta ma male attestata, mentre testimonia la rapidità di evoluzione del lessico latino, che a metà del I secolo tendeva a dismettere termini ancora presenti in Virgilio (Seneca nota che cernere=”combattere” ai suoi tempi è già un arcaismo: quod nunc “decernere” dicimus: simplicis illius verbi usus amissus est ).

Interessanti ai fini della critica testuale sono talvolta anche le reminiscenze di versi di Virgilio in poeti a lui successivi.

Un caso famoso riguarda Aen. 10.539 totus conlucens veste atque insignibus albis (descrizione di un sacerdote guerriero): in luogo di albis, debolmente attestato nella tradizione diretta (si trova in P, ma è corretto dal copista), leggono armis tutti i codici, antichi e medievali, insieme a Tiberio Claudio Donato.

Analoghe rappresentazioni del sacerdote-guerriero contraddistinto da insegne bianche (forse reminiscenti del luogo virgiliano) si trovano in Stazio (per Anfiarao: Theb. 4.218 albaque puniceas interplicat infula cristas) e Valerio Flacco (per Mopso: Arg. 1.385 palla imos ferit alba pedes) e rafforzano il valore della lezione albis in Virgilio (dove, quindi, insignia=”armi”, secondo Timpanaro, o “paramenti sacerdotali”, secondo Delvigo).

Relativamente nuova è la ricerca sugli effetti dell’ arte allusiva, che può offrire un supporto per la soluzione di problemi testuali.

È il caso, ad esempio, di una celebre corruttela presente nel testo di Virgilio:

Aen. 3. 359-60

qui numina Phoebi,
qui tripodas Clarii et laurus, qui sidera sentis

tripodas Clarii et] recc., Mynors: tripodas Clarii Mpcωγ2 Serv., Lact. Plac. In Stat. Theb. 8. 199, adgn. Pomp.GLK I 301 : tripodas Clari Mpγhr DS in Aen. 3.260, Tib., Ans., Gramm., adgn. Serv. a. l.

Recentemente Ottaviano ha proposto di emendare il testo tenendo conto dell’imitazione del luogo virgiliano da parte di Stazio: si veda

Stat. Theb. 7. 706-8

quantum subito diversus ab illo
qui tripodas laurusque sequi, qui doctus in omni
nube salutato volucrem cognoscere Phoebo!

Ottaviano propone, quindi, di correggere Aen. 3.360 tripodas Clari(i) laurus in tripodas laurusque Clari, soluzione che restaura “l’intera sequenza incipitaria riecheggiata da Stazio con un’attitudine mimetica osservabile in numerosi altri casi.”