Virgilianisti antichi

Altrettanto importante e più sistematico è il contributo delle citazioni di Virgilio e delle discussioni filologiche e testuali conservate nella tradizione esegetica relativa a BucolicheGeorgiche ed Eneide e spesso risalenti a un’epoca molto antica.
Poco dopo la pubblicazione dei tre poemi, infatti, ebbe inizio un’intensa attività di studio e commento ad opera di grammatici ed eruditi, che si adoperarono per difendere il testo di Virgilio da imitatori e interpolatori (si veda Conte). L’attività e gli interessi dei virgilianisti antichi possono essere ricostruiti grazie alla testimonianza di autori più tardi, come Gellio, e grazie ai corpora di commentarii tardo-antichi (quali gli Scholia Veronensia, Servio e il Servio Danielino), che ereditarono dalle opere di interpreti precedenti discussioni filologiche ed erudite, insieme ad un certo numero di varianti testuali.

“I virgilianisti antichi furono degli epigoni dei grammatici alessandrini o, forse meno spesso, pergameni” (Timpanaro), con interessi che spaziavano dall’ortografia, alla critica testuale, all’antiquaria.

Noto per gli interessi antiquari, etnografici e geografici è, ad esempio, Giulio Igino, liberto di Augusto e primo bibliotecario Palatino, seguito sulle orme dell’erudizione dal suo liberto e allievo, Giulio Modesto. Altri personaggi, dei quali conosciamo l’interesse per Virgilio, hanno contorni cronologici sfumati: Celso, ad esempio, è identificato da alcuni con l’enciclopedista Cornelio, vissuto in età tiberiana, da altri con il grammatico Arrunzio, attivo nel II secolo.

La figura dominante nel panorama della critica antica a Virgilio è quella di Marco Valerio Probo, “l’Aristarco romano” (Delvigo), di cui Timpanaro colloca il floruit in età flaviana: nativo di Beirut e trasferitosi a Roma dopo il 56/57 d.C. (secondo la Cronaca di S. Gerolamo, Eus. Chron. 2.155), egli avrebbe svolto l’attività di maestro, coltivando interessi grammaticali (relativi specialmente a particolarità lessicali e morfologiche della lingua latina) e critico-testuali.

Sull’attività di Probo come critico testuale ci informano Svetonio, Gramm. 24 (“multa exemplaria contracta emendare ac distinguere et adnotare curavit”: Probo, raccolti numerosi manoscritti, si occupò di correggerli, segnare l’interpunzione e apporre su di essi segni critici) e la controversa testimonianza dell’Anecdoton Parisinum (contenuto nel cod. Par. lat. 7530, foll. 28-29, edito in GLK 7.533-536), in cui si legge che egli adoperò i segni critici di impronta alessandrina (adnotationes, secondo l’ignoto compilatore) per commentare, “al modo di Aristarco”, Virgilio e altri “classici”.
Le due fonti, e con esse il linguaggio adoperato per descrivere l’attività di Probo, sono problematiche e hanno dato origine a varie interpretazioni: un profilo della questione con bibliografia essenziale è tracciato da Delvigo.

L’ipotesi pasqualiana secondo la quale Probo avrebbe radunato “materiale per edizioni condotte sul modello degli Alessandrini” per Virgilio e altri autori (Pasquali), è oggi considerata difficile da dimostrare (si veda, da ultimo, Conte), ma la questione è complessa e il dibattito ancora aperto: tra i contributi recenti si rimanda a Lucarini.

Lo scetticismo di alcuni critici sul valore delle varianti testuali di tradizione indiretta, consideratecongetture (Zetzel) o interventi arbitrari (Courtney) dei grammatici antichi (molte si devono a Probo) è da ritenersi eccessivo: più efficace appare, come sostenuto da Timpanaro, Delvigo e Conte, una prudente valutazione “caso per caso” del contributo della tradizione indiretta, la quale conserva numerose lezioni valide, ma non attestate dai codici migliori: ciò avviene, ad esempio, per Aen. 5.720animum; 6.383 cognomine terra; 10.673 quosne; 12.120 limo; 12.605 floros (si guardi l’edizione di Conte).