Beneventani

Fra i manoscritti posteriori al IX sec. una certa importanza assume, ai fini della costituzione del testo, la tradizione di Virgilio conservata in aree laterali, ovvero in quelle aree che durante l’Alto Medioevo furono isolate dai centri della cultura carolingia (Italia settentrionale, Francia e Germania), dove si concentrò la circolazione delle copie fino al XII sec.

Particolare interesse riveste la tradizione di Virgilio in Italia meridionale: oggi conosciamo dieci manoscritti in scrittura beneventana (sette completi e tre frammentari), copiati fra il X e la fine dell’XI secolo. L’importanza storica di questi manoscritti come testimoni di un revival dei classici è stata messa in luce da alcuni studi, da cui si ricavano notizie utili circa la loro provenienza e le loro principali caratteristiche formali.

Di recente è stato preso in considerazione anche il valore dei manoscritti beneventani come testimoni del testo di Virgilio e della sua ricezione, che si riflette negli scolî e glosse, nonché nelle illustrazioni presenti in alcuni di questi manoscritti.

 

Introduzione: importanza delle aree laterali

Fra i manoscritti posteriori al IX sec. una certa importanza assume, ai fini della costituzione del testo, la tradizione di Virgilio conservata in aree laterali, ovvero in quelle aree che durante l’Alto Medioevo furono isolate dai centri della cultura carolingia (Italia settentrionale, Francia e Germania), dove si concentrò la circolazione delle copie fino al XII sec.
La distanza geografica è infatti una buona garanzia contro la contaminazione: generalmente le innovazioni s’irradiano dal centro verso la periferia, e non sempre la raggiungono; perciò le zone marginali, essendo più conservative del centro, tendono a preservare elementi antichi anche a distanza di molto tempo.

In filologia questo fenomeno è stato studiato da Pasquali, che ha definito un ‘criterio geografico’, per analogia con il principio delle aree laterali applicato dai neolinguisti. La storia di questo concetto e alcuni esempi che lo esemplificano sono stati discussi da Timpanaro e Wilson.

Una delle più importanti aree marginali nel Medioevo era l’Italia meridionale, dove tra l’VIII e il XIII secolo furono prodotti e copiati numerosi manoscritti in scrittura beneventana (su cui si veda la monografia di Lowe. È grazie all’intensa attività di trasmissione realizzata in questo periodo nei centri del Sud Italia che sono giunte fino a noi opere altrimenti perdute: il De Lingua Latina di Varrone, ad esempio, ci è stato trasmesso soltanto da due manoscritti in beneventana (Par. lat. 7530, saec. VIIIex. e Flor. Laurent. 51.10, saec. XIex.).
Le Historiae (I-V) e gli Annales (XI-XVI) di Tacito, così come le Metamorfosi e i Florida di Apuleio ci sono giunti solo grazie a un manoscritto in beneventana, il Flor. Laurent. 68.2 (saec. XImed.).

Un altro caso esemplare è rappresentato da un manoscritto, probabilmente copiato a Montecassino nell’XI-XII sec. (Oxford, Bodl. Canon. Class. Lat. 41): in esso E.O. Winstedt trovò nel 1899 trentasei versi della sesta satira di Giovenale fino ad allora sconosciuti. Gli studiosi si dividono ancora sull’autenticità di questi versi, ma è plausibile che siano entrati molto presto nella tradizione del testo: a questa conclusione è giunto Tarrant, che ha ripercorso lo status quaestionis.

D’altra parte, anche nel caso di testi che hanno una tradizione ricca e articolata, come Gregorio di Nissa o il Nuovo testamento, i testimoni prodotti in Italia meridionale formano un gruppo omogeneo che conserva lezioni antiche.

Le opere di Virgilio non mancarono di suscitare interesse per gli scribi dell’Italia meridionale: oggi conosciamo dieci manoscritti di Virgilio in scrittura beneventana (sette completi e tre frammentari), copiati fra il X e la fine dell’XI secolo.

Virgilio in Italia Meridionale

Il primo contributo per lo studio dei manoscritti beneventani di Virgilio è un importante articolo di Lowe, dedicato ad una rapida presentazione di otto fra questi testimoni e alla descrizione delle loro principali caratteristiche paleografiche. Come osservava lo studioso (p. 44=327),

«one is tempted to interpret the centuries-wide gap in the transmission of Virgil as a reflection of a lack of interest in classical learning. Likewise, we should perhaps be not far wrong if we interpreted the survival of the Beneventan manuscripts of Virgil as marking a revival of interest in secular learning».

L’assenza di manoscritti (di Virgilio e di altri autori latini) copiati fra il VI e l’VIII secolo suggerisce che, nei secoli indicati, si produsse una chiusura verso la conoscenza e lo studio dei testi classici; al contrario, la presenza dei codici in beneventana riflette il revival dell’erudizione di carattere secolare verificatosi durante il secolo dell’Abate Desiderio (1027-1087), analogamente a quanto avvenuto con la rinascita carolingia: in questo senso Lowe attribuiva valore ai manoscritti in beneventana in quanto “witnesses of intellectual activity”, enfatizzandone soprattutto l’interesse storico.

Strumenti di Lavoro

Strumenti utili per lo studio dei manoscritti di Virgilio in beneventana sono:

  1. Lowe (nella seconda edizione a cura di V. Brown) che esamina origine, aree di diffusione e caratteri formali della scrittura beneventana;
  2. gli aggiornamenti di Brown, a cui si deve la scoperta di un nuovo frammento (S. Francisco Rosenthal Collection, oggi Beinecke Library, Yale University);
  3. la panoramica tracciata da Cavallo sulla trasmissione dei classici in area beneventana (oltre a studi più specifici dello stesso autore);
  4. la fondamentale monografia di Newton sullo scriptorium e la biblioteca di Monte Cassino;
  5. il catalogo della mostra di manoscritti in beneventana allestita nel 1996 a Monte Cassino (Virgilio e il Chiostro);
  6. la bibliografia on-line relativa ai manoscritti in beneventana (http://edu.let.unicas.it/bmb/).

 

Centri di Produzione e Principali Caratteristiche

Tratto distintivo dei manoscritti prodotti in dell’Italia meridionale è senza dubbio la tipica scrittura; inoltre alcuni manoscritti presentano neumi caratteristici di quest’area geografica.

I centri di produzione dei manoscritti in beneventana di Virgilio possono essere così precisati: in Campania (probabilmente a Napoli stessa) furono copiati il Neapolit. Vind. lat. 5 (ν) e il Neapolit. Vind. lat. 6 (n); invece dalla Puglia (e precisamente da Bari secondo Cavallo) provengono i codici Bodl. Canon. Class. 50 (o), Reg. lat. 2090 (η) e il frammento Beinecke Library, Yale University.
Infine, Newton ha recentemente attribuito a Montecassino i manoscritti Vat. lat. 1573 (ε), Par. lat. 10308 (δ), Monte Cass. Compact. XV, che a parere dello studioso apparterrebbero al primo periodo desideriano (prima del 1070), insieme al codice Eton 150 (che conteneva originariamente almeno una parte delle opere virgiliane).
Verso la fine del periodo desideriano (anni ’80 dell’XI sec.) si può invece datare il Vat. lat. 3253 (ζ), che presenta una scrittura peculiare, apparentemente estranea alle tipologie tipiche dello scrittorio di Montecassino, ma ad esso riconducibile sulla base, tra l’altro, del confronto con il Vat. lat. 3340 (Orosius, Historiae contra paganos: vd. Newton).

Nella stessa Montecassino sotto l’abate Oderisio (1087-1105) sarebbe stato copiato, secondo Newton, anche il manoscritto pervenutoci nei frammenti del palinsesto Vat. gr. 2324, da considerare una copia fatta per uso personale piuttosto che per esigenze didattiche (come dimostra il formato piccolo e l’assenza di scolî).

Per quanto riguarda la mise en page, le altre caratteristiche formali e i contenuti (testi e paratesti, glosse e commenti), i manoscritti beneventani essenzialmente si allineano al modello del “libro altomedievale di Virgilio”.
 

Scolî e Glosse

Gli scolî contenuti nei manoscritti in beneventana di Virgilio -come già quelli dei carolingi- assumono una certa rilevanza, sia per il loro contenuto, sia perché forniscono indizi utili per individuare parentele tra testimoni.

Secondo gli editori di Harvard, ad esempio, il Neap. Vindob. lat. 5 (sigla ν per Virgilio, N per Servio) e il Vat. lat. 3317 (sigla V per Servio), provenienti dalla stessa area, costituiscono un gruppo a sé nella trasmissione del commento di Servio: a tal proposito, importante è il contributo di Stoker.
La posizione del codice di Napoli all’interno dello stemma serviano, tuttavia, è stata ridimensionata da Murgia: il ramo che rappresenta (σ), pur essendo autonomo, intrattiene rapporti con il testo più vulgato (γ).

Diversamente, il Vat. lat. 3317 è senz’altro testimone di una tradizione isolata, come dimostra il testo del commento alle Georgiche, pubblicato da Thilo sotto il nome di Scholia Vaticana.

La combinazione del commento serviano e di note ascrivibili a Filargirio si trova, invece, nel cod. Bodl. Can. Class. 50 (o): questo dato, messo in luce da Savage, merita ulteriori approfondimenti.

Illustrazioni

Il numero dei manoscritti medievali illustrati fino al XII secolo è, nel complesso, esiguo: in generale, i manoscritti in beneventana confermano questa tendenza.

L’ornamentazione è presente nella forma di iniziali ornate a intrecci e tracciati geometrici, occasionalmente arricchiti da elementi antropomorfi e zoomorfi.

Talvolta sui margini sono stati apposti schizzi, senza rapporto con il testo, raffiguranti animali fantastici, personaggi grotteschi e, in qualche caso, immagini religiose.

Ad esempio, per le due figure femminili che appaiono nel Reg. lat. 2090 (η), è stata proposta l’identificazione come Madonne; nel Par. lat. 10308 (δ), invece,  si trovano raffigurati Cristo e gli evangelisti Luca e Giovanni.

Fra i codici beneventani ritroviamo un’eccezione illustre: il codice Neap. Vind. Lat. 6 (n), redatto in Campania verso la metà del X secolo (forse per iniziativa di Giovanni III duca di Napoli), presenta un ciclo d’immagini che fungono da illustrazioni del testo.

La decorazione consiste di iniziali figurate e istoriate, una tipologia che trova riscontro solo in paralleli d’età gotica matura e tarda, e di due miniature collocate all’inizio del primo libro dell’Eneide (f. 45r: Enea approda a Cartagine) e del dodicesimo libro (f. 168v: duello tra Turno ed Enea).

Nelle miniature del codice napoletano il colore appare come complemento al disegno, mentre mancano elementi di ambientazione; sono state usate, invece, scritte vermiglie per identificare i personaggi.

Altre scene compaiono nelle iniziali figurate inserite all’inizio delle partizioni di testo, ovvero prima delle Bucoliche, di ogni libro di Georgiche ed Eneide e, per quest’ultima, anche all’inizio dei sommarî (Argumenta) che precedono i singoli libri. Questa collocazione delle figure è probabilmente un’eredità lontana del sistema illustrativo proprio dei rotoli di papiro: non stupisce perciò che in ben cinque casi si tratti di raffigurazioni di Virgilio.

In realtà,  diverse tradizioni figurative convergono nella decorazione del manoscritto: come emerge dai lavori di Courcelle, Belting e Bertelli, nell’apparato iconografico di n elementi che riflettono archetipi antichi coesistono con elementi di aspetto spiccatamente medievale, come la foggia degli abiti dei pastori o dei guerrieri.

Un altro esempio d’iniziale figurata in connessione tematica col testo si ritrova nel cod. Bodl. Can. Class. 50 (o), f. 113v, dove in apertura del libro ottavo dell’Eneide è raffigurato Turno che innalza il vessillo di guerra, protetto da Giunone: si veda a riguardo la trattazione dei Courcelle.