Segni speciali e decorazione

Distinguere nel Medioevo non ha solo il significato tecnico di ‘segnare la punteggiatura’, ma anche di ‘decorare’: la scrittura nei manoscritti medievali ha una forte valenza iconica e simbolica, che fa sì che spesso il confine tra notazione e ornamentazione sia molto sottile.

 

Punteggiatura

In alcuni manoscritti altomedievali di Virgilio (e.g. Par. lat. 7906; Bern. 172+Par. lat. 7929) la punteggiatura è utilizzata con parsimonia, limitandosi al sistema antico delle distinctiones promosso da Alcuino e la Scuola Palatina: in genere si trova il punto alto (distinctio) che indica la fine di un periodo, e il punto basso (subdistinctio), che indica una pausa all’interno del periodo.

In altri casi è impiegato il sistema più complesso, basato su segni che indicano la fine di una sezione testuale (positurae): il tipo più comune è la combinazione di due o tre punti medi e una virgola (·,· oppure ·;·); a volte per indicare la fine di verso si può trovare (e.g. Par. lat. 7926) una serie di punti (tre o quattro), secondo una pratica di origine insulare diffusasi nel Continente a partire dal IX sec. A partire dalle positurae si sviluppa in età carolingia un sistema completamente nuovo di segni, come il punctus interrogativus per segnalare una domanda o l’accento (in genere sulla lettera O) per segnare un’esclamazione o un’invocazione. Questi segni in molti casi assomigliano molto a dei neumi.

Su tutti questi aspetti si veda lo studio fondamentale di Parkes[1].

Segni di costruzione sintattica

Numerosi manoscritti virgiliani sono importanti anche come testimoni della Unterrichtspraxis nell’alto Medioevo. Uno degli indizi che denunciano l’utilizzo del manoscritto per finalità didattiche è l’impiego di particolari segni volti a facilitare la comprensione della sintassi.

Korhammer[2], a cui si deve un inquadramento generale di questa prassi e una lista di attestazioni, ha distinto tre sistemi di notazione:

  1. Das verbindende System (Linking System): un segno grafico (combinazione di punto, virgola, trattino, apostrofo, etc.) o una lettera dell’alfabeto sono stati sovrascritti a due o più parole per indicarne la relazione sintattica (es. nome-aggettivo, soggetto-verbo). Questo sistema è diffuso soprattutto nei manoscritti irlandesi e anglosassoni, ma si trova anche in manoscritti continentali, sebbene il tipo di segni grafici impiegati sia differente.
  2. Das logische System (Logical System): attraverso l’uso di segni grafici (analoghi a quelli impiegati nel Linking System) è stato evidenziato il nesso logico tra due o più parole (una delle quali spesso è una congiunzione come nam, enim, igitur, ergo, autem etc.).
  3. Das sequentielle System (Sequential System): attraverso l’uso di lettere in ordine alfabetico (o anche, più raramente, di segni grafici) è stato ricostruito un ordo verborum più vicino alla prosa o alla lingua usata nell’area di provenienza del manocritto.

Nei manoscritti di Virgilio è spesso impiegato il sequentielle System (Bern. 165, Bern. 167, Firenze, Bibl. Laur. Ashb. 23, Par. lat. 7928, Reg. lat. 1669, Guelf. Gud. lat. 70), associato talora al verbindende System (Par. lat. 7925). Alcuni esempi relativi al Laur. Ashb. 23 e al Bern. 167 sono stati illustrati rispettivamente da Villani[3] e da Lemoine[4].

Neumi

La notazione neumatica è attestata dal IX al XII sec. per un buon numero di testi classici (in ordine di frequenza: Stazio, Orazio, Virgilio, Lucano, Terenzio).

Dopo alcuni studi precursori, tra cui vanno segnalati in particolare gli scritti di Corbin[5], i contributi più importanti su questo aspetto si devono a Riou[6], che ha affrontato il problema da un’ottica codicologica e paleografica, e a Ziolkowski[7], che ha invece discusso il significato e l’origine di questa pratica.

Riou ha classificato in base a datazione e provenienza i manoscritti neumati; ecco riassunti i risultati della sua ricerca relativamente a Virgilio:

  IX X X-XI XI XII
Francia (Nord)

Francia (Est)

Francia (Centro)

Francia (Sud)

1        
2   1 1  
1        
1   1 1  
Germania     2 3 5
Inghilterra   1      
Italia (Nord)   1      
Italia (Sud)   2   1  
TOTALE 24 5 4 4 6 5

Va notato che i manoscritti di Virgilio (e degli altri classici) non sono stati predisposti per accogliere la notazione neumatica, che perciò è stata inserita solo in una seconda fase, generalmente nell’interlineo (a volte per mancanza di spazio un verso è ricopiato a margine con i neumi). Ciò implica la possibilità che i neumi non siano contemporanei al manoscritto: in effetti, se consideriamo i cinque manoscritti neumati del IX sec., solo in un caso è stato supposto che anche i neumi possano esser stati aggiunti nel IX sec. (Bern. 239): negli altri casi la notazione va ascritta piuttosto al X sec.

Inoltre, la natura stessa della mise en page fa sì che i neumi interagiscano con le glosse interlineari e con gli altri segni impiegati per spiegare e mettere in evidenza il testo. Questo aspetto è stato oggetto di analisi da parte di Ziolkowski[8], che lo ha messo in relazione con il carattere delle sezioni testuali accompagnate da notazione musicale.

Si tratta di brani che hanno da sempre attirato l’attenzione dei lettori per pregnanza e valore letterario: perciò si prestavano non solo ad un’intensa attività esegetica, ma anche ad una lettura recitata o cantata. Infatti, nella maggior parte dei casi i brani neumati sono discorsi diretti dell’Eneide: ad esempio, il discorso di Ettore (Aen. 2. 274-87), o le rheseis di Didone (Aen. 4. 424-36; 651-62): vd. Bern. 239; Bruxellen. 5325-5327; Guelf. Gud. 66; Par. lat. 7929.

Anche se non è del tutto chiaro come venissero eseguiti i brani neumati, da queste considerazioni si può concludere verosimilmente che tale pratica s’inseriva nell’insegnamento scolastico. I neumi, com’è noto, non indicano né l’altezza né l’intervallo melodico, ma soltanto l’intonazione: è possibile, quindi, che per memorizzare alcune sezioni il maestro suggerisse agli allievi una melodia, forse legata anche all’interpretazione metrica dei versi. Del resto, in uno dei manoscritti neumati di Virgilio troviamo anche dei segni metrici (Bern. 255, f. 46r: georg. 4.336-43): per esempi simili in altri manoscritti si veda Munk Olsen[9].

La pratica di cantare alcune particolari sezioni dei poemi di Virgilio, forse influenzata dalle recitazioni fatte dallo stesso poeta, è già attestata da Marco Valerio Probo: Ziolkowski[10] ha tracciato per grandi linee l’evoluzione di questo tipo di ricezione orale del testo virgiliano dall’Antichità al Medioevo.

Note tironiane

Dopo Prisciano, i manoscritti di Virgilio sono i più ricchi di note tironiane, come ha sottolineato Ganz[11]. Tra i codici virgiliani del IX sec. si annoverano, ad esempio, il Par. lat. 7925, l’Oxon. Auct. F. 2. 8 e il Bern. 165. Quest’ultimo fu copiato a Tours, scrittorio con una consolidata tradizione in questa scrittura stenografica, esemplificata di recente da Hellmann[12]. A parte un vecchio studio di Legendre[13] su un commento a Virgilio con note tironiane da Chartres (oggi perduto), mancano ad oggi studi esaurienti sui manoscritti virgiliani.

Notabilia

A volte accanto al testo di Virgilio o di Servio sono stati indicati dei passaggi significativi attraverso l’apposizione di una nota (in molti casi il monogramma per Nota: vd. eg. Reg. lat. 1669) o una manicula (e.g. Budapest, Orzagos svéchényi koenyvtar 7, f. 73v[14]).

A volte sono segnalati anche i colores rhetorici, cui spesso fa riferimento lo stesso Servio (e.g. ad georg. 2. 265: LITOTES): vd. Reg. lat. 1669; Par. lat. 8093-VI+Bern. 239+255; Guelferbyt. Gud. 66. La stessa pratica si riscontra anche in altri testimoni contemporanei di testi classici e ha dato in seguito origine a raccolte organiche di Figurae Graecorum[15]. Un esempio è fornito dall’elenco di Figurae inserito nei primi fogli del Bern. 172, che molto probabilmente è stato ricavato dai marginalia di un codice virgiliano[16].

Segni di paragrafo e scritture distintive

L’inizio di una nuova sezione testuale fin dall’antichità veniva segnalato in vari modi. Il sistema più antico, attestato già in alcuni papiri di II-III sec. d. C., consisteva nell’apporre un segno diacritico a forma di Γ, detto paragraphus. Una funzione simile ha un altro segno, il simplex ductus (¬), che si osserva in molti manoscritti tardoantichi, come ad esempio il Mediceus di Virgilio (vd. Ribbeck[17]) e la lettera K (per Kaput), che, specie negli scritti retorici, segnalava l’inizio di un nuovo punto dell’argomentazione (ma è attestato anche in testi poetici per indicare l’inizio di un nuovo verso). Questi segni a volte sopravvivono anche nell’alto Medioevo: ad esempio, nei manoscritti di Virgilio del IX sec.si trovano esempi del segno a forma di Γ, usato per indicare l’inizio di una nuova sezione di testo (e.g. Par. lat. 8093+Bern. 255-Bern. 239; Guelferbyt. Gud. lat. 66).

Esiste però anche un altro sistema, molto frequente e ben documentato soprattutto per i testi latini (a partire da iscrizioni del II sec. a. C.), che consiste nel porre in evidenza la prima (o le prime) lettere di una nuova sezione, realizzandole in modulo più grande (littera notabilior) e ponendole a sinistra (ἔκθεσις) rispetto al resto del testo. Questo sistema ha avuto particolare fortuna per i testi poetici: è attestato anche nel papiro di Gallo da Qaṣr Ibrîm (I sec. a. C.: CLA Add. I 1817). In questo documento si osserva anche un altro fenomeno: ogni verso inizia con una littera notabilior posta all’inizio del rigo, ma i pentametri sono indentati (εἴσθεσις) rispetto agli esametri.

In realtà, la doppia rigatura verticale si incontra solo occasionalmente nei codici tardoantichi dei poeti pagani, e ha la precisa funzione di distinguere graficamente unità metriche separate (come avviene, ad es., nel Terenzio Bembino, Vat. lat. 3226)[18]. L’uso invece è più frequente nei manoscritti biblici, dove l’ecthesis della littera notabilior serve ad individuare l’inizio di un capitulum (e.g. St. Gall, Stiftsbibliothek, MS 1395= CLA VII 984).

Inoltre, la doppia rigatura verticale è adottata anche nei manoscritti della Bibbia scritti per cola et commata, in cui l’inizio di ogni nuovo periodo coincide con l’inizio di un rigo, e la sua ‘coda’ viene allineata alla seconda riga verticale, in modo tale che il colon risulti individuato graficamente dall’eisthesis (e.g. Firenze, Codex Amiatinus 1 = CLA III 299). Questo sistema fu applicato per la prima volta alla Bibbia da San Girolamo (che affermava di averlo desunto da copie dei discorsi di Demostene e Cicerone, vd. Parkes[19]). La stessa impaginazione è seguita negli esemplari dei salmi, che assumono così un aspetto molto simile a quello dei testi poetici in versi (vd. e.g. London, British Library, Cotton MS Vespasian A I= CLA II 193).

Tuttavia, il sistema più diffuso per indicare l’inizio di verso o di un paragrafo nei manoscritti tardoantichi (specie degli autori classici) è senz’altro l’uso della littera notabilior. Va notato che questo sistema spesso si ritrova anche all’inizio di una nuova unità codicologica (pagina o colonna), dove non ha più valore funzionale, ma ornamentale, e deriva probabilmente dalla pratica di contraddistinguere nei volumina la prima lettera di ciascuna colonna di un rotolo con un’iniziale di formato più grande. Lowe[20] ha studiato questo e altri fenomeni connessi fornendo un elenco delle attestazioni documentate fino all’VIII sec. A partire dal VI sec. le iniziali cominciano ad acquisire elementi ornamentali (vd. DECORAZIONE).

Nei manoscritti di VII-VIII sec. si osserva un uso diffuso della littera notabilior, mentre non vi è traccia della doppia rigatura verticale. Gli scribi insulari sviluppano ulteriormente la ‘mise en relief’ dell’iniziale creando il ‘diminuendo’ (il modulo delle parole iniziali di una sezione diminuisce gradualmente fino a pareggiare il resto del testo).

Nei manoscritti carolingi troviamo non solo l’uso della littera notabilior, ma anche la doppia rigatura verticale: ne è risultato un layout che ha avuto molta fortuna, soprattutto per i testi poetici.

Divisioni più significative fra due testi fin dalle attestazioni più antiche sono indicate semplicemente con degli spazi bianchi e, nel caso dell’inizio o della fine di un’opera, con il titolo e il nome dell’autore. A partire dal IV sec. per titoli e colofoni sono impiegate delle ‘scritture distintive’: ad esempio, la capitale rustica in opposizione all’onciale usata per il testo (e.g. Plinio Morgan CLA XI 1660). Altre scritture distintive mostrano forme miste di capitale e onciale, come nel manoscritto fiorentino delle Pandette (CLA III 295). A ciò si aggiunge l’uso del colore, di fregi e di altri effetti ornamentali; a volte i colofoni assumono tanto rilievo da occupare un’intera pagina: un uso che vedrà una continuazione nella ‘display page’ dei manoscritti insulari e carolingi. Scritture distintive sono impiegate anche per perioche e didascalie in alcuni codici: ad esempio, nel Terenzio Bembino (Vat. lat. 3226) sono realizzate in una capitale di modulo più piccolo rispetto al testo.

Il sistema delle scritture distintive viene ulteriormente sviluppato nei codici in minuscola, dove si stabilisce una gerarchia di funzioni tra le varie scritture (capitale, onciale: Parkes[21]), che consente molta varietà, specie se in combinazione con effetti cromatici e decorativi. L’uso della maiuscola nei codici carolingi in genere è riservato a iniziali, titoli e colofoni, e spesso anche al primo verso (o ai primi versi) di un componimento. Si tratta di elementi testuali che meritano particolare attenzione, perché tendenzialmente rispecchiano con più fedeltà, non solo a livello formale ma anche nel contenuto, i modelli tardoantichi da cui più o meno direttamente derivano.

Un caso molto interessante è costituito dalla presenza occasionale di versi interamente realizzati in capitale all’interno di un componimento: questo uso si riscontra in alcuni manoscritti carolingi di Virgilio, dove si applica al primo verso di una nuova sezione (vd. Bern. 165, Par. lat. 7925; TAVV.), oppure a un tibicen (vd. GRUPPO aeuv: TAV. XIIc). Sembra plausibile che i copisti medievali abbiano voluto riprodurre attraverso il ricorso ad una scrittura distintiva la particolare presentazione di questi versi nell’originale, dove erano evidenziati, ad esempio, da un segno diacritico (e.g. un segno di paragrafo o un segno di espunzione), come ha supposto di recente Deufert[22], discutendo casi analoghi riscontrabili nella tradizione manoscritta di Lucrezio. Per quanto riguada il tibicen è anche possibile che esso sia stato erroneamente interpretato come un titolo, come dimostrerebbe anche l’indentatura e la spaziatura con cui è stato riprodotto.

Su questi temi si vedano i lavori di Vezin[23], Heyworth[24], Cavallo[25] e Schröder[26].

Decorazione

La decorazione dei manoscritti virgiliani di IX-XI sec. in genere si limita al trattamento delle iniziali e dei titoli, e consiste nell’applicazione del colore e di motivi grafici di vario tipo, a seconda della tradizione seguita nello scriptorium di produzione. Nella maggior parte dei casi le miniature, anche le più complesse, non hanno alcun rapporto con il testo.

Gli unici esempi di miniature di tema virgiliano in manoscritti altomedievali si trovano in un frammento di codice del IX sec., il Par. lat. 8093-V, in due manoscritti beneventani, Neap. lat. 6 e Bodl. Canonici Class. 50, rispettivamente dell’inizio del X e del XI sec., e in alcuni manoscritti carolingi di X-XI sec. (e.g. Par. lat. 16236 e Budapest, Orzagos svéchényi koenyvtar 7).

Si veda: CAROLINGI>DECORAZIONE e BENEVENTANI>DECORAZIONE.

Altri tipi d’illustrazione (diagrammi, come ad es. mappae mundi o schizzi di vario carattere) non rientrano propriamente nell’apparato decorativo del manoscritto, ma sono da considerare alla stregua di glosse o di probationes pennae. Vari esempi di cartografia nei manoscritti medievali sono forniti da Gautier Dalché[27] e Munk Olsen[28]; vd. GLOSSE E DIAGRAMMI ASTRONOMICI.

 


[1] Parkes, M.B., Pause and Effect: An Introduction to the History of Punctuation in the West, Aldershot, 1992 (Ch. 3: «Carolingian Renovatio»).

[2] Korhammer, M., “Mittelalterliche Konstruktionshilfen und altenglische Wortstellung”, Scriptorium 35.1 (1980), 18-58.

[3] L. Villani, “Segni grammaticali e interpretativi nei mss.”, Rivista delle biblioteche e degli Archivi 10 (1899), 4-7 ( 6).

[5] Corbin, S., “Comment on chantait les classiques latins au Moyen Âge”, Mélanges d’histoire et d’esthétique musicales offerts à Paul-Marie Masson, I, Paris, 1955, 107-113; Ead., Die Neumen, Köln, 1977 (Palaeographie der Musik, I, 3).

[6] Riou, Y.-F., “Codicologie et notation neumatique”, Cahiers de civilisation médiévale, 33, (1990), 255-280, 381-396; Id., “Chronologie et provenance des manuscrits classiques latins neumés”, RHT, 21 (1991), 77-113.

[7] Ziolkowski, J., “Nota bene: why the classics were neumed in the Middle Ages”, Journal of Medieval Latin 10 (2000), 74–102

[8] Ziolkowski, J.M., “Between Text and Music: The Reception of Virgilian Speeches in Early Medieval Manuscripts”, MD 2004, 107-126.

[9] Munk Olsen, B., L’étude des auteurs classiques latins aux XIe et XIIe siècles. Catalogue des manuscrits classiques latins copiés du IXe au XIIe siècle, t. 4.1 La réception de la littérature classique: travaux philologiques, Paris 2009, 219.

[10] Ziolkowski, J., “Turning the page: the Oralization of Virgil in the Early Middle Ages”, in Scrivere e leggere nell’alto medioevo (Spoleto, 28 aprile – 4 maggio 2011), Spoleto 2012, I, 45-65.

[11] Ganz, D., “On the History of Tironian Notes”, in Tironische Noten, ed. by P. Ganz, Wolfenbütteler Mittelalter Studien, 1, Wiesbaden 1990, 35-51; Id., “Carolingian manuscripts with substantial glosses in Tironian notes “, in R. Bergman et alii [éd.], Mittelalterlische volkssprachige Glossen, Heidelberg 2001, 101-107.

[12] Hellmann, M., Tironische Noten in der Karolingerzeit am Beispiel eines Persius-Kommentar aus der Schule von Tours, Hannover 2000.

[13] Legendre, P., Études tironiennes, Paris 1907.

[14] Ziolkowski, J.M., “Between Text and Music: The Reception of Virgilian Speeches in Early Medieval Manuscripts”, MD 2004, 115.

[15] Villa, C., La «Lectura Terentii», i: Da IIdemaro a Francesco Petrarca, Padova 1984, 70, n. 7.

[16] Scholia Bernensia ad Vergili Bucolica atque Georgica, rec. H. Hagen, Leipzig 1867, 984 (rist. anast. Hildesheim 1967, 314).

[17] Ribbeck, O., Prolegomena critica ad P. Vergili Maronis opera maiora, Leipzig 1866, 157-61.

[18] Raffaelli, R., “Sulle funzioni della doppia rigatura verticale nei codici latini antiquiores”, in Il libro e il testo. Atti del Convegno internazionale, Urbino 20-23 settembre 1982, 1-24.

[19] Parkes, M.B., Pause and Effect: An Introduction to the History of Punctuation in the West, Aldershot, 1992, 15.

[20] Lowe, E.A., “Some Facts about our Oldest Latin Manuscripts”, in Palaeographical Papers 1907-1965, edited by L. Bieler, I:187-202.

[21] Parkes, M.B., Pause and Effect: An Introduction to the History of Punctuation in the West, Aldershot, 1992, 34.

[22] Deufert, M., “Overlooked manuscript evidence for interpolations in Lucretius?The rubricated lines”, in pubblicazione.

[23] Vezin, J., “La division en paragraphes dans les manuscrits de la basse antiquité et du haut moyen âge”, in Laufer, R. (ed.). La notion de paragraphe. Paris 1985, 41-51.

[24] Heyworth, S. J., “Dividing Poems”, in Pecere, O. – Reeve, M. D. (edd.), Formative Stages of Classical Traditions: Latin Texts from Antiquity to the Renaissance, Spoleto 1995, 117-148.

[25] Cavallo G., “Iniziali, scritture distintive, fregi. Morfologie e funzioni”, in Libri e documenti d’Italia dai Longobardi alla rinascita delle città. Atti del Convegno Nazionale dell’Associazione Italiana paleografi e Diplomatisti. Cividale, 5-7 ottobre 1994. A cura di C. Scalon, Udine 1996, 15-33.

[26] Schröder, B.-J., Titel und Text. Zur Entwicklung lateinischer Gedichtüberschriften. Mit Untersuchungen zu lateinischen Buchtiteln, Inhaltsverzeichnissen und anderen Gliederungsmitteln, Berlin – New York 1999, 103-105.

[27] Gautier Dalché, P., “Mappae Mundi antérieurs au XIIIe siècle dans les manuscrits latins de la Bibliothèque de France”, in Scriptorium 52 (1998), 102-62 ; Id., “L’Héritage antique de la cartographie médiévale”, in Cartography in Antiquity and the Middle Ages, edited by R. J. A. Talbert and R. W. Unger, Leiden-Boston 2008, 29-66; Id., “De la glose à la contemplation. Place et fonction de la carte dans les manuscripts du haut Moyen Age”, in Settimane di studio del Centro italiano di studi sull’alto Medioevo, 41 (1994), 713-22 (=Id., Géographie et culture: la représentation de l’espace du VIe au XIIe siècle, Aldershot, 1998).

[28] Munk Olsen, B., L’étude des auteurs classiques latins aux XIe et XIIe siècles. Catalogue des manuscrits classiques latins copiés du IXe au XIIe siècle, t. 4.1 La réception de la littérature classique: travaux philologiques, Paris 2009, 237-9.