Aetas Vergiliana
In una lettera a Incmaro di Reims composta intorno all’845, Lupo di Ferrières criticava il disinteresse dei contemporanei per la retorica e per ‘lo bello stile’ degli scrittori antichi che egli si sforzava invano d’imitare. Per rafforzare questo argomento forniva un esempio per assurdo: anche se Virgilio in persona fosse tornato in vita con tutta la sua eloquenza, non avrebbe più trovato un pubblico fra i contemporanei:
Etiamsi Virgilius reuiuisceret et totas tripertiti operis uires mouendis quorundam cordibus expenderet, nec lectionem quidem praesentium adepturum (ep. 44)[1].
In realtà, il gran numero di manoscritti di Virgilio copiati nel IX sec. e giunti fino a noi testimonia una discreta fortuna dell’autore, iniziata, a quanto pare, fin dall’VIII sec. (vd. LA TRANSIZIONE).
Il rinnovato interesse per le opere di Virgilio e per i relativi commenti tardoantichi è senza dubbio dovuto all’impiego di questi testi nel curriculum scolastico, specie nello stadio iniziale (trivium), dedicato all’apprendimento della grammatica[2]. Del resto, anche l’esempio di Lupo, letto in una prospettiva non deformata dallo sconforto e dall’invettiva, dimostra che il nome stesso di Virgilio continuava a evocare la migliore tradizione degli studi classici, nonostante l’abbandono che avevano sofferto in gran parte dell’Europa nei secc. VII-VIII.
Perciò, la definizione di “aetas Vergiliana” applicata al IX sec. da Traube[3] può esser ancora considerata valida, pur con qualche riserva[4], che rende opportune alcune precisazioni.
In primo luogo, Virgilio non è l’unico autore pagano inserito nel ‘canone scolastico altomedievale’[5]: secondo la testimonianza di Alcuino, nell’VIII sec. la biblioteca di York conservava il testo di Stazio e Lucano (vd. LA TRANSIZIONE). Teodolfo d’Orléans nel componimento “De libris quos legere solebam” (MGH, PLAC I, 543, Carm. 45, 13 ss.) citava tra i suoi preferiti autori di ‘storia’ Agostino, Crisostomo e Virgilio. Un’altra lettura prediletta nel IX sec. era il De Nuptiis Philologiae et Mercurii di Marziano Capella, come dimostra l’alto numero di manoscritti glossati conservato, anche se questi spesso riflettono una ricezione privata ed erudita piuttosto che scolastica[6].
Inoltre, la definizione di Traube non implica che la fortuna di Virgilio si sia eclissata dopo il IX sec., anzi: il numero di manoscritti conservati testimonia che il fervore degli studi virgiliani continuò a esser vivo anche tra X e XII sec. (periodi a cui Traube assegnò la denominazione di «aetas Horatiana» e «aetas Ovidiana», per sottolineare i nuovi orientamenti del gusto).
La Renovatio Carolingia
Il ruolo centrale svolto da Virgilio nel IX sec. è connesso soprattutto alla politica di renovatio della cultura latina promossa da Carlo Magno[7]: in quest’ottica l’insegnamento della grammatica, per cui Virgilio era considerato un modello imprescindibile, non contribuiva solo alla rifondazione dell’educazione e della cultura, ma anche alla rigenerazione morale della società (vd. Contreni[8]).
Un programma non ufficiale di questo nuovo sistema educativo è enunciato, come ha segnalato Brunhöltz[9], nell’introduzione ai trattati grammaticali attribuiti ad Alcuino, intitolata in un codice Disputatio de vera philosophia[10]: si tratta di un dialogo tra i personaggi fittizi che animano l’opera, il magister Albino e i due discipuli (Saxo e Franco), a cui vengono presentati i sette gradi della sapienza, ossia le discipline del trivium e del quadrivium, che conducono ad una corretta conoscenza delle sacre Scritture (Patrologia Latina 101, 854: per has vero, filii charissimi, semitas vestra quotidie currat adulescentia, donec perfectior aetas et animus sensu robustior ad culmina sanctarum Scripturarum perveniat).
Alcuino fu anche l’ispiratore dei programmi culturali ufficiali emanati da Carlomagno[11]: l’Admonitio Generalis[12] rivolta al clero del regno franco intorno al 789 e l’Epistola de litteris colendis[13], dedicata intorno all’800 (tra il 780 e il 789) a Bangulf, abate del monastero di Fulda.
In particolare, la seconda parte dell’Admonitio (capp. 60-82) consiste in una serie di prescrizioni rivolte al clero, al fine di risollevarlo dalla condizione di decadenza e abiezione morale in cui era caduto: in quest’ottica, viene introdotto anche il tema dell’educazione e dell’istituzione di scuole rurali[14]:
72. Sacerdotibus. Sed et hoc flagitamus vestram almitatem, ut ministri altaris Dei suum ministerium bonis moribus ornent, seu alii canonice observantiae ordines vel monachici propositi congregationes; obsecramus, ut bonam et probabilem habeant conversationem, sicut ipse Dominus in evangelio praecipit: “sic luceat lux vestra coram hominibus, ut videant opera vestra bona et glorificent pater vestrum qui in celis est” (Matth. 5, 16), ut eorum bona conversatione multi protrahantur ad servitium Dei et non solum servilis conditionis infantes, sed etiam ingenuorum filios adgregent sibique socient. Et ut scolae legentium puerorum fiant. Psalmos, notas, cantus, compotum, grammaticam per singula monasteria vel episcopia et libros catholicos bene emendate[15]; quia saepe, dum bene aliqui Deum rogare cupiunt, sed per inemendatos libros male rogant. Et pueros vestros non sinite eos vel legendo vel scribendo corrumpere; et si opus est evangelium, psalterium et missale scribere, perfectae aetatis homines scribant cum omni diligentia.
In questo capitolo i sacerdoti vengono esortati a prendere sotto la propria guida dei fanciulli[16] di qualsivoglia condizione sociale e di avviarli allo studio, attraverso l’apprendimento della lettura e della scrittura, i cui elementi si insegnavano nei monasteri a partire dai salmi[17], della stenografia[18], del canto, del computo e della grammatica. Infine ai chierici si affida un altro importante compito: quello di correggere i testi sacri, sfigurati da errori, e di affidarne la copia soltanto a scribi professionisti.
Raccomandazioni simili erano rivolte ai copisti di testi sacri e patristici anche da Alcuino[19]:
Hic sedeant sacrae scribentes famina legis,
Nec non sanctorum dicta sacrata patrum;
Hic interserere caveant sua frivola verbis,
Frivola nec propter erret et ipsa manus,
Correctosque sibi quaerant studiose libellos,
Tramite quo recto penna volantis eat.
Per cola distinguant proprios et commata sensus,
Et punctos ponant ordine quoque suo,
Ne vel falsa legat, taceat vel forte repente
Ante pios fratres lector in ecclesia.
Est opus egregium sacros iam scribere libros,
Nec mercede sua scriptor et ipse caret.
Foderi quam vites melius est scribere libros,
Ille suo ventri serviet, iste animae.
«Siedano qui, scrivendo le parole della sacra legge / e quelle parimenti sacre dei santi Padri; / e badino bene di non frammettere a queste le loro frivole parole / per modo che la loro mano, a sua volta divenuta frivola, non si sbagli. Cerchino invece con ogni sforzo di avere per sé libri corretti, / e la loro penna voli via sicura lungo una strada diritta. / Distinguano bene con i segni di interpunzione il senso del discorso / e pongano i punti là dove devono essere posti, / in modo che chi deve fare la lettura in chiesa non legga cose false né ammutolisca improvvisamente / dinanzi ai suoi confratelli. / E’ opera egregia scrivere libri, / né chi li scrive rimane privo della sua ricompensa. / Scrivere libri è meglio che piantare viti: / perché chi fa questo serve alla sua pancia, ma chi fa quello serve invece all’anima sua» (trad. G.C. Alessio)
In altri termini, la politica imperiale aveva individuato nei libri e nella scuola i principali veicoli della renovatio culturale, e per garantire il successo di quest’operazione era essenziale stabilire una norma e provvedere alla sua corretta diffusione.
Il primo modello di scola per pueri si costituì presso la stessa corte imperiale, come testimonia Alcuino in un componimento poetico dedicato a Carlo intorno al 799 (Poetae Latini Aevi Carolini I, 26), alludendo all’esistenza di ordines (sacerdotes, ministri, medici, versifici, turba scriptorum), a ciascuno dei quali era assegnato un maestro. Sul modello di questa scuola Alcuino stesso istituì quella di Saint Martin di Tours, dove si ritirò negli ultimi anni di vita.
Ludovico il Pio (814-840) rinnovò gli appelli a riformare il sistema educativo della Chiesa, auspicando in particolare che i monasteri ricevessero solo discepoli destinati alla vita religiosa e non laici (Concilio di Aix dell’817, MGH, Capit. 1.346: «ut scola in monasterio non habeatur nisi eorum qui oblati sunt»). Nell’829 al Concilio di Parigi i vescovi chiesero espressamente all’imperatore di istituire delle scolae publicae almeno in tre distretti del regno (MGH, Capit. 2.304).
Nonostante gli sforzi di Ludovico e Lotario, i problemi legati alla successione imperiale ostacolarono questo processo e nell’859 in occasione del concilio di Savonnieres i vescovi chiesero nuovamente a Ludovico II l’istituzione di scuole pubbliche per la difesa della fede.
Il rinnovamento tanto auspicato poté esser realizzato pienamente solo intorno alla metà del secolo, sotto Carlo il Calvo (875-877), periodo a partire dal quale non si avverte più la necessità di richiami e ammonizioni su questo argomento.
Così, gradualmente si cominciò a formare un sistema scolastico articolato in tre ordini: le scuole episcopali, tra cui si distinguevano le scolae publicae, ossia quelle che godevano di un particolare sostegno dell’autorità imperiale; le scuole monastiche, che solo eccezionalmente ammettevano laici, e quelle presbiteriali, che organizzavano la cultura anche nei centri rurali[20].
In questo periodo raggiungono il massimo sviluppo anche gli scriptoria sorti nel regno franco, in molti casi presso le scuole episcopali. Un’importante testimonianza per ricostruire la loro storia è rappresentata dai cataloghi delle biblioteche composti intorno alla prima metà del IX sec. nei monasteri di Fulda, Würzburg, Lorsch, Saint-Riquier, Köln, Murbach e St. Gallen. Infatti, biblioteca, scriptorium e scuola sono tre realtà strettamente collegate e spesso coesistenti, dal momento che la maggior parte dei libri prodotti nei monasteri e nelle cattedrali venivano impiegati per la lettura e per l’insegnamento[21].
Si può ammettere che all’inizio le biblioteche imperiali (quella di Carlo Magno e di Ludovico il Pio)[22]abbiano svolto la funzione di Kristallisationspunkt[23], fornendo un modello per altre biblioteche e promuovendo così l’ideologia del nuovo imperium Christianum. Ciò avvenne verosimilmente grazie allo scambio continuo tra la corte imperiale e le principali scuole monastiche, facilitato dalla mobilità di alcuni intellettuali e maestri (si pensi a Alcuino o a Giovanni Scoto Eriugena)[24].
Questo processo giunse a piena maturazione nella seconda metà del IX sec. per impulso di Carlo il Calvo: tra i centri più attivi in quel periodo si annoverano Laon[25] e Reims [26], entrambi ubicati in una regione (Francia nord-orientale), in cui ‒ a quanto pare ‒ è stata prodotta la maggior parte dei codici virgiliani carolingi a noi pervenuti.
La Renovatio carolingia fu dunque attuata grazie all’attività delle biblioteche e degli scriptoria, che garantirono la conservazione di esemplari antichi e la loro trasmissione attraverso il processo di copia: in questo modo il passato veniva recuperato e aggiornato in modo da rispondere alle nuove esigenze e ai nuovi orientamenti culturali e ideologici. L’imitazione dei libri antichi esercitò un influsso determinante sulla formazione della minuscola carolina, che si sviluppò a partire da forme semionciali e corsive, mentre l’onciale e la capitale furono riutilizzate come scritture distintive[27].
La minuscola carolina
Grazie alla sua chiarezza e uniformità, la minuscola carolina si diffuse velocemente in tutto l’impero fino a raggiungere le frange estreme (Inghilterra e Spagna). Nonostante questa popolarità, la carolina presentava dei tratti propri di ciascuna regione in cui era usata: ogni scriptorium sviluppò un suo stile peculiare, a cui generalmente si uniformavano tutti i copisti che lavoravano insieme alla produzione di libri. In base alle caratteristiche specifiche della scrittura e della decorazione dei manoscritti prodotti in ciascun centro, è possibile distinguere alcune principali Schriftprovinzen[28]:
- Francia settentrionale: Corbie, Luxeuil, Saint-Riquier, Saint-Médard de Soissons, Laon; Saint-Thierry de Reims, Saint-Amand en Pévèle, Saint-Vaast d’Arras, Metz;
- Ile-de-France: Saint-Denis, Saint-Germain-des-Prés;
- Valle della Loira e Francia centrale: Tours, Fleury, Orléans; Auxerre
- Francia meridionale: Lyon, Saint-Martial de Limoges ;
- Germania: Reichenau, Murbach, Wissembourg, St. Gall, Freisig (Saint-Emmeram), Lorsch.
Per una descrizione sintetica della storia e dello stile di ciascuno di questi centri si veda il recente catalogo della mostra sui manoscritti carolingi della Bibliothèque Nationale di Parigi[29].
Dal momento che la minuscola carolina fu usata fino al XII sec., di solito vengono considerati ‘carolingi’ tutti i manoscritti copiati in questa scrittura tra la fine dell’VIII sec. e il XII sec. Del resto, gli scriptoria nati nell’VIII-IX sec. continuarono a lungo ad essere attivi anche a seguito delle invasioni normanne e dello sfaldamento dell’unità imperiale, grazie alla diffusione del movimento cluniacense nelle regioni francesi e all’iniziativa di sovrani illuminati in Germania.
Nel seguito si prenderanno in considerazione esclusivamente i manoscritti composti tra IX e X sec. (definiti ‘carolingi’ per brevità), mentre i manoscritti di X-XI saranno oggetto di una sintetica trattazione separata.
Ai fini della ricostruzione del testo, è sembrato conveniente isolare fra i manoscritti carolingi di Virgilio il gruppo dei codici copiati nel IX-X sec., che rappresentano i primi testimoni di una tradizione più antica e in parte perduta, dopo il silenzio dei secoli VII-VIII.
Nonostante la contaminazione sia evidente già nei manoscritti di IX sec., in questi testimoni sopravvivono alcune varianti antiche che successivamente tendono a scomparire per effetto della diffusione di un testo vulgato di Virgilio.
Dopo alcune considerazioni preliminari, si passerà ad esaminare il testo di Virgilio tràdito da questi testimoni.
MISE EN PAGE
Anche sotto il profilo codicologico alcuni codici del IX sec. si distinguono da quelli dei secoli successivi, conservando alcuni elementi ricavati da modelli più antichi, come i titoli in onciale e in capitale rustica o esempi di ‘display page’ (Reg. lat. 1669, f. 3v: TAV. Ia; Bern. 172, f. 25v: TAV. IIa; Bern. 165, f. 2r: TAV. XIa).
Particolare attenzione meritano i casi di bipartizione del verso su due righi: questo singolare fenomeno, a parte qualche uso sporadico (e.g. nel Bern. 255 e Guelf. Gud. 66: vd. ERRORI SINGOLARI), ricorre sistematicamente in tre manoscritti virgiliani del IX sec.: nel Par. lat. 7926 (r), in un codice frammentario (φ1: Valentian. 178+220), e in alcune parti del Bern. 172 + Par. lat. 7929 (a: f. 17r, ff. 21r-23r, f. 1r, 16r; vd. TAVV. V-VII).
Causa principale di questa singolare disposizione del testo sembra essere la mancanza di spazio: infatti, nei primi due casi (r, φ1) la colonna destinata al testo è troppo stretta per contenere un intero verso. Si noti che i due manoscritti presentano schemi d’impaginazione differenti (due colonne di testo nel Par. lat. 7926 e una colonna di testo compresa tra due colonne per gli scolii nel Valentian. 178+220).
Una soluzione simile è adottata occasionalmente anche in manoscritti più antichi, come ad esempio nel Prudenzio Ambrosiano della metà del VI sec. (Ambros. D. 35 sup., in onciale) e in un frammento di Sedulio in minuscola di Luxeuil della prima metà dell’VIII sec., Clm 29338(1)[1] .
In entrambi i casi un formato non congruo al testo ha reso necessaria la bipartizione dei versi più lunghi. Per evitare confusioni le ‘code’ dei versi sono separate da una εἴσθεσις di qualche lettera, che ha una funzione, per così dire, tipografica (vd. Raffaelli[2] e Questa[3]).
Nei manoscritti carolingi di Virgilio, invece, l’εἴσθεσις è meno pronunciata: la coda del verso si allinea con la seconda rigatura verticale (la prima serve ad individuare l’iniziale del verso). Questo tipo di allineamento si può confrontare con Bibbia Amiatina (Firenze, Codex Amiatinus 1, inizio VIII sec., in onciale: vd. Parkes/[4]), copiata per cola et commata: anche qui per mancanza di spazio spesso un colon deve essere ripartito su due righi.
Tuttavia, un elemento distingue i codici virgiliani dagli esempi più antichi considerati: mentre in questi ultimi il fenomeno è eccezionale, nei casi in esame la bipartizione è sistematica e configura un vero proprio tipo di mise en page. Può darsi che quest’innovazione sia stata favorita dall’analogia con l’impaginazione adottata sin dall’antichità per i distici elegiaci (cfr. papiro di Gallo, o il frammento palinsesto di Ovidio in onciale, Guelf. 13.11 Aug. 4°).
Si rimanda alle schede dei singoli manoscritti in questione per un esame più dettagliato dei vari aspetti legati a questo tipo d’impaginazione.
CAROLINGI E ANTIQUIORES
È stato dimostrato che alcuni codices antiquiores circolarono in monasteri dell’impero franco nel corso del IX sec.: il Mediceus era a Bobbio, il Romanus e l’Augusteus in Francia settentrionale (forse Saint-Denis), il Vaticanus a Tours, il Palatinus a Lione (vd. CONSERVAZIONE E TRASMISSIONE DEI CODICES ANTIQUIORES). Ci aspetteremmo dunque che da questi preziosi esemplari siano state tratte delle copie.
In effetti, in almeno tre casi si possono osservare dei contatti vistosi tra codices antiquiores e manoscritti carolingi (Ra, Pγ; in misura più ridotta Rj), tanto che Mynors ha considerato a e γ alla stregua di descritti di R e P rispettivamente (escludendo le Georgiche e Aen. 1-9 per a; parimenti per γ vanno escluse le Georgiche).
Tuttavia, l’esame testuale mostra che il legame fra questi manoscritti non è lineare ma presuppone dei passaggi intermedi. Ciò è confermato anche da dati esterni: i codici a, γ e j, pur conservando elementi ereditati dalla tradizione più antica (e.g. titoli e colofoni), si presentano a tutti gli effetti come edizioni medievali, provviste di un corredo di paratesti ricavati da fonti diverse dai codices antiquiores. Probabilmente anche altri codici carolingi derivano da manoscritti più antichi (perduti) attraverso uno o più passaggi intermedi: perciò la loro testimonianza consente di rimediare, almeno in parte, alla dispersione dell’immenso patrimonio librario tardoantico avvenuta dopo il VI secolo.
ILLUSTRAZIONI
Nei manoscritti carolingi si rileva l’assenza quasi generalizzata di illustrazioni: l’unico caso di miniatura su tema virgiliano è stato osservato da Mütherich[1] e Bischoff in una pagina (alquanto sbiadita e di difficile lettura) di un codice francese del IX secolo, il Par. lat. 8093-V (sulla miniatura in età carolingia si veda, in generale, Kohler-Mütherich[2]).
Testimonianze isolate, tuttavia, attestano l’interesse per materiale illustrativo virgiliano durante l’Alto Medioevo: è il caso, ad esempio, del Flabellum di Tournus (terzo quarto del IX secolo; Firenze, Museo Nazionale del Bargello), sul quale si vedano Mütherich[3] e Gaborit-Chopin[4].
Va ricordato, infine, che i cicli tardoantichi d’illustrazioni relative all’opera di Virgilio ispirano, in età carolingia, la decorazione di manoscritti di diverso argomento (in particolare, si veda Wright[5] a proposito dei paralleli con manoscritti biblici miniati).
[1] Mütherich, F., “Die illustrierten Vergil-Handschriften der Spätantike”, WJA (1982), 209-10.
[2] Kohler, W. und E. Mütherich, Die Karolingischen Miniaturen, Berlin 1982.
[3] Mütherich, F., “Die illustrierten Vergil-Handschriften der Spätantike”, WJA (1982), 208-209.
[4] Gaborit-Chopin, D., Flabellum di Tournus, Firenze 1988.
[5] Wright, D.H., “When the Vatican Virgil was in Tours”, in Studien zur mittelalterlichen Kunst 800-1250. Festschrift für Mütherich zum 70 Geburtstag, München 1985, 53-66; Id., The Vatican Vergil, a Masterpiece of Late Antique Art, Berkeley 1993.
[1]http://daten.digitale-sammlungen.de/~db/0007/bsb00071343/images/index.html?fip=193.174.98.30&seite=1&pdfseitex
[2] Raffaelli, R., “La pagina e il testo”, in Il libro e il testo. Atti del convegno internazionale (Urbino, 20-23 settembre 1982), a cura di C. Questa e R. Raffaelli, Urbino 1985, 17 (tavv. 4, 22).
[3] Questa, C., “Il metro e il libro”, in Il libro e il testo. Atti del convegno internazionale (Urbino, 20-23 settembre 1982), a cura di C. Questa e R. Raffaelli, Urbino 1985, 358-9.
[4] Parkes, M.B., Pause and Effect, Cambridge 1992, tav. 10.
[1] Servati Lupi epistulae, ed. by P.K. Marshall, Leipzig 1984.
[2] Cfr. Bakker, H. A., Totus quidem Vergilius scientia plenus est, PhD Thesis (Universiteit Utrecht, 19.10.2007).
[3] Traube, L., Vorlesungen und Abhandlungen, vol. 2, München 1911, 113.
[4] Leonardi, C., “Medioevo. Tradizione letteraria”, in Enciclopedia Virgiliana vol. III, 1986, 422; Munk Olsen, B., Virgile et la Reinassance du XIIe siècle, in Lectures médiévales de Virgile: acte du colloque organisé par l’Ecole française de Rome (Rome, 25-28 octobre 1982), Rome 1985, 32-48.
[5] Glauche, G., Schullektüre im Mittelalter, München 1970; Munk Olsen, B., I classici nel canone scolastico altomedievale, Spoleto 1991, 23-32.
[6] Teeuwen, M., “Martianus Capella’s De Nuptiis: A pagan ‘storehouse’ first discovered by the Irisch?”, in R.H. Bremmer Jr. and K. Dekker (eds.), Foundations of Learnings: The Transfer of Encyclopaedic Knowledge in the Early Middle Ages, Paris, Leuven, Dudley, MA 2007, 51-62; Ead. “The study of Martianus Capella’ s De nuptiis in the ninth century”, in A. A. Mac Donald, M. W. Twomey and G.J. Reinink (eds.), Learned Antiquity. Scholarship and Society in the Near-East, the Greco-Roman world, and the Early Medieval West, Leuven, Paris, Dudley, MA 2003, 185-194.
[7] McKitterick, R., “Karolingische renovatio in Kunst und Wissenschaft: Einführung”, in C. Stiegemann (ed.) 799 Kunst und Kultur der Karolingerzeit. Karl der Grosse und Papst Leo in Paderborn (Paderborn, 1999), II, 668-85.
[8] Contreni, J.G., “The Carolingian Renaissance”, in W.T. Treadgold (ed.), Renaissances before the Renaissance: cultural revivals of late antiquity and the Middle Ages 1984, 59; See also Brown, G., “Introduction: the Carolingian Renaissance”, in R. McKitterick. (ed.), Carolingian Culture: Emulation and Innovation, Cambridge 1993, 1-51.
[9] Brunhöltz, F., Der Bildungsauftrag der Hofschule, in Karl der Grosse. Lebenswerk und Nachleben, Bd. ii , Das Geistige Leben, hrsg. von B. Bischoff, Düsseldorf 1965, 28-41.
[10] Il dialogo serve da introduzione a tutte le arti: Jullien, M.-H. et Perelman, F., Clavis Scriptorum Latinorum Medii Aevi – Auctores Galliae 735-987, 2, 162 ss. (ALC 40). Tuttavia, poiché la Disputatio precede la Grammatica e sembrerebbe far tutt’uno con quest’opera ritenuta da alcuni apocrifa, anche per essa è stato sollevato il sospetto che non vada attribuita a Alcuino: vd. Gorman, M., “Alcuin before Migne”, Revue Bénédictine, 112 (2002), n. 112.
[11] La paternità di Alcuino è stata dimostrata in base a criteri stilistici da F.C. Schabe, “Alcuin und die Admonitio Generalis”, Deutsches Archiv 14 (1958), e da Wallach, L., Alcuin and Charlemagne. Studies in Carolingian History and Literature, Ithaca 1959.
[12] Jullien, M.-H. et Perelman, F., Clavis Scriptorum Latinorum Medii Aevi – Auctores Galliae 735-987, 2, 10 ss. (ALC 4); Buck, T.M., Admonitio und Praedicatio : Zur religiös-pastoralen Dimension von Kapitularien und kapitulariennahen Texten (507-814), Frankfurt am Main, 1997, 67-156.
[13] Jullien, M.-H. et Perelman, F., Clavis Scriptorum Latinorum Medii Aevi – Auctores Galliae 735-987, 2, 351 ss. (ALC 45). Testo e traduzione recenti dell’Admonitio e dell’Epistola si leggono in Hägermann, D., Karl der Große. Herrscher des Abendlandes, Berlin 2000, 287-302.
[14] Il testo è tratto dai Capitularia Regum Francorum, ed. A. Boretius, Monumenta Germaniae Historica, I , Hannover 1883, 59 s.
[15] In questo punto il testo edito nei Monumenta Germaniae Historica non è perspicuo: come suggerisce Riché, cit., 71, n. 10, occorrerà porre una lacuna dopo episcopia. Perciò merita di esser presa in considerazione la variante tradita da una classe di manoscritti (indicata con la sigla B nell’edizione della Patrologia Latina 97, 1862, 178), che aggiungono dopo episcopia il verbo discan.
[16] Con il termine pueri si dovranno intendere i fanciulli di età compresa tra i sette e i quattordici anni: Riché, P., Les écoles et l’enseignement dans l’Occident chrétien de la fin du Ve siécle au milieu du XIe siècle, Paris 1979, 200.
[17] Nel Medioevo con l’espressione psalteratus si designava una persona in grado di leggere: Riché, cit., 223.
[18] Secondo l’interpretazione tradizionale il termine notae qui designerebbe le note musicali: sia nel Glossarium mediae et infimae latinitatis del Du Cange (s.v. nota, 2), sia nell’edizione della Patrologia Latina sono riportati come paralleli alcuni passi, tra cui il seguente, tratto dal Chronicon di Ademarus Cabannensis (988-1034): omnes Franciae cantores didicerunt notam Romanam, quam nunc vocant notam Franciscam. Un’altra possibilità (vd. Riché, cit., 243) è che si tratti piuttosto di note tironiane, la cui conoscenza era necessaria per leggere gli atti amministrativi. Quest’interpretazione appare più consona al testo dell’Admonitio, perché già l’insegnamento del canto, menzionato subito dopo, presuppone implicitamente la conoscenza delle note musicali.
[19] Vd. Monumenta Germaniae Historica, Poetae Latini Aevi Carolini 1, 320 (no 94). Cfr. Chase, C., Alcuin’s Grammar Verse: Poetry and Truth in Carolingian Pedagogy, in Insular Latin Studies, ed. by M.W. Herren, Toronto 1981, 144.
[20] Cfr. Hildebrandt, M. M., The External School in Carolingian Society, Leiden.
[21] Bischoff, B., “Die Bibliothek im Dienste der Schule”, in La scuola nell’occidente latino. Settimane di studio del centro italiano di studi sull’alto Medioevo, XIX, Spoleto 1972, 385-415 [= Id., Mittelalterliche Studien, 3, Stuttgart, 1981, 213-233 ; Id.,. “Libraries and School in the Carolingian Revival of Learning”, in M. Gorman (ed. and transl.)., Manuscripts and Libraries in the Age of Charlemagne, Cambridge, 2007, 93-114].
[22] Bischoff, B. “Die Hofbibliothek Karls des Großen” in W. Braunfels (Hrsg.), Karl der Große. Lebenswerk und Nachleben, Bd. 2 (Das geistige Leben, herausgegeben von B. Bischoff), Düsseldorf 1967, 42-62 (= Mittelalterliche Studien 3. Stuttgart1981, 149-69); Id., “The court library under Louis the Pious” in M. Gorman (ed. and transl.)., Bernhard Bischoff. Manuscripts and libraries in the age of Charlemagne, Cambridge 1994, 76-92. See also Bullough, D., “Charlemagne’s court library revisited”, Early Medieval Europe 12 (2003), 339-63.
[23] Haberl, D., “Die Hofbibliothek Karls des Großen als Kristallisationspunkt der karolingischen Renaissance: Geschichte, Umfeld, Wirkungen”, Perspektive Bibliothek 3.1 (2014), 111-39.
[24] Per una panoramica sui maestri e eruditi d’età carolingia vd. Contreni, J. J., Carolingian learning, masters and manuscripts, Aldershot 1992; Munk Olsen, B., L’étude des auteurs classiques latins aux XIe et XIIe siècles. Catalogue des manuscrits classiques latins copiés du IXe au XIIe siècle, t. 4.1 La réception de la littérature classique: travaux philologiques, Paris 2009, 43-56.
[25] Contreni, J.J., The Cathedral School of Laon from 850 to 930. Its Manuscripts and Masters, München 1978. See also Jeauneau, É., “Les écoles de Laon et d’Auxerre au IXe siècle”, in La scuola nell’Occidente latino dell’alto medioevo, Settimane di studio del Centro italiano di studi sull’alto medioevo, 19 (Spoleto, 1972), 495–522, 555–60 (repr. with additions and corrections, in Id.,Études érigéniennes, Paris, 1987, 57–84).
[26] Von Büren, V., “Auxerre, lieu de production de manuscrits?”, in S. Shimahara (ed.), Etudes d’exégèse carolingienne: autour d’Haymon d’Auxerre, Turnhout 2007, 167-86 ; Ead., “Les manuscrits de Heiric et le scriptorium de Reims”, in print (IMU).
[27] McKitterick, R., “Script and book production” in Ead. (ed.), Carolingian Culture: Emulation and Innovation, Cambridge 1993, 234.
[28] Bischoff, B., “Panorama der Handschriftenüberlieferung aus der Zeit Karls des Grossen”, in Karl der Grosse. Lebenswerk und Nachleben, II , Das Geistige Leben, hrsg. von B. Bischoff, Düsseldorf 1965, 233-254.
[29] Denoël, C. – Laffitte, M.-P., Trésors carolingiens. Livres manuscrits de Charlemagne à Charles le Chauve, Paris 2007. Website: http://expositions.bnf.fr/carolingiens/