Nel valutare i manoscritti carolingi di Virgilio dal punto di vista fonetico e ortografico è opportuno tener conto non solo delle oscillazioni tipiche del latino volgare (attestate già in epoca antica), ma anche di tendenze tipiche del Protoromanzo, che spesso riflettono un sostrato celtico, germanico o slavo (la cosiddetta ‘Romania submersa’)[1].
Molto utile risulta anche il confronto con i trattati ortografici e grammaticali composti tra VII e IX sec. (il De Orthographia di Beda e l’opera omonima di Alcuino; le Quaestiones Grammaticales di Abbone di Fleury), dove si discutono i problemi di pronuncia evidentemente più controversi e si correggono gi errori ortografici più comuni all’epoca.
Nel seguito verranno presi in considerazione i fenomeni più frequenti o vistosi di divergenza dalla norma del latino classico osservabili nei manoscritti di Virgilio di IX-X sec.
- Trattamento dell’ aspirata
- Trattamento dei gruppi consonantici
- Palatalizzazione dell’ occlusiva velare sonora
- Chiusura della e lunga
Trattamento dell’ aspirata
Esempi di confusione nella pronuncia dell’aspirata in latino sono attestati fin dall’antichità: celebre è il caso dell’Arrius catulliano, che pronunciava hinsidias e chommoda (Catull. 84). La diffusione di queste oscillazioni nel latino volgare è confermata da un passo di Gellio (Gell. 13.6.3 rusticus fit sermo si aspires perperam, frase attribuita a Nigidio Figulo).
Questi ipercorrettismi si spiegano chiaramente come una reazione dei ceti meno colti alla tendenza a non pronunciare l’aspirata, che almeno a partire dal III sec. è generalmente muta: già Agostino si peritava di indicare che la pronuncia corretta fosse homines, non omines (Aug. conf. 1.18.29), e simili raccomandazioni si ritrovano nel De Orthographia di Alcuino.
I manoscritti carolingi offrono molti esempi sia di omissione all’aspirata sia di ipercorrettismo, che possono risalire anche a una fase antica della tradizione (e.g. humerus, humidus, vd. Lehmann[2]). Altri casi vanno piuttosto ricondotti alla confusione con parole greche (e.g. ora confuso con hora, cfr. ThlL VI.3, 2953.26-7). Nei grecismi, infatti, l’aspirata (iniziale o dopo p, t, c) tendeva a essere conservata con più rigore, anche durante il Medioevo, come testimonia ad esempio Abbone di Fleury (Quaest. gramm. 11). Da qui derivano molti casi di ipercorrettismo (e.g. haether, Nothus, Throes, Athlas, thoro, phoeni, Chorebus, olimphi, sepulchro). A confusioni di questo tipo erano esposti soprattutto i copisti parlanti antico francese, che non pronunciavano l’aspirata se non nel caso di qualche prestito dalle lingue germaniche[3]. Alcune grafie molto fortunate nel Medioevo (come michi, nichil) traducono una resa dell’aspirazione simile a quella del χ greco.
Trattamento dei gruppi consonantici
Per quanto riguarda i gruppi –MN-, –MS-, –MT-, nei manoscritti carolingi di Virgilio si osserva spesso l’epentesi di una p (e.g. columpna, tempnitis, dapnaverat): è questo un fenomeno frequente nel IX sec; infatti, già Alcuino prescriveva: hiems sine P scribi debet[4].
Un simile trattamento degli stessi gruppi consonantici si è mantenuto nel provenzale, dove abbiamo l’esito dampnatge, e in antico francese dampnos, dampnosement. Non si tratta di pura grafia, come sembra emergere dai tratti scandinavi, paralleli a quei romanzi, nei quali la fonetica pare rassicurante (nampn<namn)[5], in quanto la p è pronunciata.
Il fenomeno dell’epentesi sembra una reazione alla semplificazione di questi gruppi consonantici, attestata già nell’antichità, specie per il gruppo –MN– , in cui la n tendeva a non essere pronunciata (vd. Quint. inst. 1.7.29.2 nec ‘Gnaeus’ eam litteram in praenominis nota accipit qua sonat, et ‘columnam’ et ‘consules’ exempta n littera legimus; Prisc. GLK II, 29 ‘N’ quoque plenior in primis sonat, et in ultimis, partibus syllabarum, ut ‘nomen’, ‘stamen’; exilior in mediis, ut ’amnis’, ‘damnum’).
Come conseguenza, in francese abbiamo somme e sommeil (da SOMNUS), ottenuti grazie ad assimilazione progressiva; in italiano abbiamo sonno (cfr. sp. sueno) per assimilazione regressiva; al contrario, il romeno è conservativo (l’esito è somn)[6].
Per quanto riguarda gli altri gruppi consonantici, nei manoscritti carolingi di Virgilio si riscontra una tendenza generale all’assimilazione regressiva (e.g. irrorat, assurgit), cui fanno eccezione i gruppi –NM-, –DT– (e.g. inmensi, adtondens).
Palatalizzazione dell’ occlusiva velare sonora
Prima della e e della i l’occlusiva velare sonora [g], si è palatalizzata nel latino medio così da diventare un’occlusiva palatale sonora [ɟ], mentre in posizione iniziale si è spostata in avanti verso la posizione dento-palatale, aprendosi in [ž].
Quando la [g] intervocalica si apriva in j, spesso veniva eliminata: regina>*regina>*rejina>*reiina. La palatalizzazione della C e della G davanti alla e alla i era molto ricorrente nel Medioevo[7]. Nel nord della Gallia, la C e la G iniziali sono state palatalizzate anche davanti alla A (es. CAMPUS>champ; GAMBA>jambe).
Ecco alcuni degli esempi di questo fenomeno che si incontrano nei manoscritti carolingi (e anche in uno dei beneventani, Bodl. Canon. Class. 50= o):
ecl. 3.69 congessere] coniessere o (etiam in scholio serviano in mg.)
ecl. 4.7 progenies] proienies zo
Aen. 4.40 Getulae] ietulae x
Aen. 5.416 ieminis] geminis r
Queste grafie riproducono verosimilmente la pronuncia del copista, visto che palatalizzazione era tipica dell’area francese[8], da cui provengono i manoscritti rxz, e lo stesso fenomeno è attestato anche in Italia meridionale (e.g. GENERUM>jènnaru)[9].
Chiusura della e lung tonica
Le iscrizioni ci confermano che nella lingua parlata la Ē tonica era giunta a chiudersi a tal punto da diventare Ĭ già a partire dal I sec. d.C. (CIL IV, 4511 filix, da Pompei). Altri casi sono attestati in sillaba chiusa (e.g. minsis CIL XIV, 2710; rigna CIL XII, 975).
Paralleli interessanti di queste divergenze dalla norma ortografica si ritrovano in Gregorio di Tours (minse, quinquaginsima [10]) e Fredegario (minsis, incinsa, minsam[11]).
Perciò, all’origine della confusione fra e/i nei manoscritti carolingi talvolta potrebbe esserci una causa (o una concausa) di natura fonetica. Tuttavia, uno dei casi più frequenti ammette una spiegazione diversa: la grafia timpus in luogo di tempus (anche nei casi obliqui e al plurale), attestata soprattutto nei manoscritti dwz, è probabilmente dovuta all’esigenza di distinguere tempus = ‘tempia’ da tempus= ‘tempo’. Infatti, questa variante ortografica si applica esclusivamente al primo significato (‘tempia’) non solo nei manoscritti di Virgilio, ma anche in quelli di altri autori medievali: Waltharius 1394; Ps. Ov. De Vetula 2, 246 (cfr. Richmond, J. A., CR 20, 1970, 343-5); Carmina Burana, 103, III, 3.
[1] Hall, R., Proto-Romance Phonology: Comparative Romance Grammar, 2. Elsevier, New York, 1976, 177.
[2] Lehmann, M. Lateinische Grammatik, Laut- und Formenlehre, München 1977, 139.
[3] Wright, R., Late Latin and Early Romance in Spain and Carolingian France, Liverpool 1982, 105ss.
[4] Norberg, D., Manuale di latino medievale, Cava de’ Tirreni 1999, 72.
[5] Nel provenzale troviamo anche fempna<FEMINAM, dove la p è stata introdotta per analogia con la parola sincopata domna.
[6] Niedermann, M., Elementi di fonetica storica del latino, a c. di C. Passerini Tosi, presentazione di G. Devoto, Bergamo, 1948, 127.
[7] Ad esempio, nelle formule di Angers sono ricorrenti gli esempi di iesta<GESTA e eieris<EGERIS: vd. Norberg, D., Manuale di latino medievale, Cava de’ Tirreni 1999, 47.
[8] M.K. Pope, From Latin to Modern French, with especial consideration of Anglo-Norman. Phonology and morphology, Manchester 1973, 127.
[9] Rohlfs, G., Historische Grammatik der italienische Sprache, I, Bern 1949, 265 s.
[10] cfr. Bonnet, M., Le latin de Grégoire de Tours, Parigi, 1890, 106-113.
[11] cfr. Haag, O., Die Latinität Fredegars, Romänische Forschungen, 10 (1899), 843: «Besonders häuftig kommt die Schreibung –ins- für –ens- vor. Das N hier zu sprechen war schon seit Plautus Affektation, es bezeichnete nur noch die Dehnung des vorausgehenden Vokals. MINSIS I 40,18. 41, 5; INCINSA I 69, 7. II 94, 18. III 160, 12. MINSAM III 160, 26» (cfr. Chronicarum quae dicuntur Fredegarii scholastici libri IV cum continuationibus, hrsg. ed. B. Krusch, MGH SS rer. mer. 2 in Monumenta Germaniae Historica).