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accessus: sezione introduttiva dell’apparato pedagogico/esegetico
(commento: vedi materiali esegetici) di un manoscritto medievale, premessa all’opera copiata e contenente informazioni sulla stessa e sull’autore.
angolo di scrittura: angolo determinato dalla posizione dello strumento scrittorio rispetto alla riga di base della scrittura e variabile a seconda delle condizioni materiali nelle quali si svolge l’azione dello scrivere.
antigrafo, manoscritto: esemplare che il copista adoperava come modello dal quale trarre la sua copia.
apografo, manoscritto: nuovo esemplare trascritto copiando da uno già esistente, del quale il nuovo manoscritto è un descriptus, o copia, o discendente (diretto o indiretto).
apparato critico: sezione dell’edizione critica deputata a motivare le scelte compiute dall’editore ai fini della costituzione del testo. A tale scopo, l’editore può registrare nell’apparato, per esteso o in selezione, dati emersi dalla collazione dei manoscritti, varianti, congetture e proposte di altri editori, e tutte quelle informazioni che egli ritiene utili perché il lettore sia in grado di formarsi un proprio giudizio riguardo a ciascun problema testuale. Si distinguono in genere due tipi di apparato critico, l’apparato positivo e l’apparato negativo, anche se spesso viene adottata una formula mista intermedia tra queste due tipologie.
apparato positivo: apparato critico che intende fornire un quadro esaustivo della tradizione nei punti ove si registrano discrepanze e indica esplicitamente, a tale scopo, sia i testimoni della lezione accettata a testo sia i testimoni portatori di varianti.
apparato negativo: apparato critico che indica solo i testimoni portatori di varianti rispetto alla lezione accettata nel testo critico (non si citano, invece, i testimoni che contengono la lezione accolta a testo). L’apparato negativo privilegia la concisione e l’efficacia, a volte a discapito della chiarezza.
archetipo: in termini generali, si può definire “archetipo” il manoscritto, perduto o conservato, dal quale derivano, nella tradizione di una data opera, tutti i testimoni a noi pervenuti. Nel caso in cui sia possibile ricostruire un archetipo si parla di recensione chiusa; al contrario, se la contaminazione impedisce di risalire all’archetipo, si parla di recensione aperta o orizzontale.
argumenta: brevi testi prefatori, in versi o in prosa, anteposti nei manoscritti medievali a sezioni delle opere in essi contenute (per esempio i singoli libri di un’opera).
arte allusiva: inserimento in un testo, soprattutto poetico, di riferimenti ad altri testi letterari, che il poeta rielabora con varie modalità. Tali riferimenti presuppongono conoscenza dettagliata e familiarità con le opere-fonte dell’allusione e sono, dunque, avvertibili e apprezzabili dal lettore dotto.
autografo, codice: manoscritto vergato da/attribuibile all’autore del testo.
banalizzazione: intervento con il quale il copista, in maniera consapevole o inconsapevole, sostituisce una parola o una struttura sintattica rara o non comune con una più familiare al suo orizzonte di conoscenze e usi linguistico-letterari.
beneventana, scrittura: scrittura, prevalentemente libraria, in uso nell’Italia meridionale continentale dalla fine dell’VIII sino al XIII sec. (sporadici esempi di imitazione si registrano ancora nel XIV e perfino nel XV-XVI secolo). La beneventana fu in uso, fra gli altri, nei monasteri di Montecassino, Benevento, Cava dei Tirreni e Salerno, in alcuni centri minori degli Abruzzi, in Puglia, nelle isole Tremiti e in Dalmazia, dove è attestata dal X al XIII sec.
La tipizzazione di beneventana elaborata presso lo scriptorium di Montecassino, abbazia che esercitò una notevole influenza culturale in area campana, raggiunse la sua maturità nel corso dell’XI sec., sotto gli abati Desiderio (1058-1087) e Oderisio (morto nel 1105): essa si distinse per il tratteggio con forte contrasto di pieni e filetti, l’allineamento dei tratti orizzontali di collegamento fra le varie lettere, le aste verticali brevi che appaiono spezzate, quasi composte da piccoli rombi sovrapposti.
Un’altra importante tipizzazione di beneventana, di modulo grande, forme arrotondate, tratteggio sottile e uniforme, si sviluppò a Bari nei primi decenni del sec. XI: il “tipo di Bari” conobbe ampia diffusione nella Puglia centrale e in vari luoghi della costa dalmata, tra cui Zara; durò in uso, in forme sempre più incerte e stentate, sino al secolo XIII.
calamo: strumento in uso nell’antichità per la scrittura a inchiostro, era formato da una cannuccia vegetale flessibile con la punta divisa in due da un taglio. Temperata con lo scalptrum, la punta era sottile e acuminata se destinata alla realizzazione di una scrittura corsiva, di norma rapida e filiforme; era larga se si dovevano tracciare scritture calligrafiche con chiaroscuro di pieni e filetti.
calligrafica, scrittura: scrittura dai segni grafici “costruiti” eseguendo in successione i singoli elementi, con ductus preferibilmente posato e distinzione, ottenuta con l’uso di una penna larga e fessa, fra tratti pieni (tracciati dall’alto verso il basso) e filetti (tracciati da sinistra a destra, paralleli alla base di scrittura). Le scritture calligrafiche avevano il loro principale impiego in prodotti di natura libraria.
canonizzata, scrittura: si definisce “canonizzata” una scrittura che, partendo da forme grafiche usuali e da esigenze presenti in una data comunità di scriventi, perviene, attraverso un processo di formazione, all’elaborazione di un canone grafico, il cui uso diventa generale per la tipologia d scritti a cui è destinato.
Per loro natura, le scritture canonizzate tendono alla rigidità e si conservano a lungo immutate o registrano modificazioni di minore importanza; in genere, il loro superamento è dovuto alla formazione di nuove scritture canonizzate.
capsa: contenitore di forma cilindrica destinato alla conservazione dei rotoli di papiro.
capitale, scrittura: maiuscola di carattere angolare (“quadrata”), che rappresenta la forma grafica di riferimento, in ambito epigrafico e librario, nella cultura scrittoria romana dei secc. I a.C. – IV d.C.
Nella tipizzazione epigrafica, la capitale raggiunge una forma canonizzata fra le età di Cesare e di Augusto (capitale “epigrafica” o “monumentale”) e si caratterizza per alternanza di angoli retti e archi di ellissi, uniformità di modulo e di disegno dei singoli elementi grafici, perfetto inserimento nel sistema bilineare, chiaroscuro, leggero allargamento a spatola all’inizio e al termine delle aste dritte. Forme che imitano quelle epigrafiche (capitale “elegante”) sono adoperate in alcun prodotti librari (come i codici di Virgilio “Augusteo” e “Sangallese”), ritenuti frutto di esercizi calligrafici tardi e isolati.
La capitale libraria, indicata, genericamente, come rustica, presenta, rispetto alla versione epigrafica, un tratteggio fluido, con rigida separazione delle lettere fra loro, verticalità dell’andamento, chiaroscuro molto accentuato e arrotondamento degli angoli: le differenze di realizzazione sono dovute alla flessibilità dello strumento scrittorio (calamo), alla relativa morbidezza della materia (papiro, più tardi pergamena), alla diversa tecnica di esecuzione.
A partire dal V secolo d.C., in ambito librario, la capitale è adoperata come scrittura distintiva in opposizione all’onciale o in combinazione con essa: dall’uso medievale di questi caratteri al principio di singoli capitoli, o capita, deriva la denominazione di “capitale”.
carolina, minuscola: minuscola di modulo equilibrato e uniforme, rotondeggiante, semplice nel disegno, armoniosa nel rapporto fra corpo delle lettere e aste, ariosa, la carolina presenta un tratteggio non contrastato, una lieve inclinazione verso destra, un leggero ingrossamento delle aste in alto (aste “clavate”), uno scarso numero di legature e abbreviazioni.
Elaborata nel contesto di un complesso movimento di rinnovamento culturale, politico-amministrativo e ideologico che investì l’Europa franco-carolingia fra la seconda metà dell’VIII sec. e i primi decenni del secolo seguente, la carolina si diffuse in molti centri scrittori di Francia (Corbie, Tours, Reims, St. Denis), Germania (Magonza, Lorsch, Reichenau) e Italia settentrionale (Verona, Bobbio), diventando, con il IX-X sec., il linguaggio scrittorio comune del continente europeo.
Alla diffusione di questa minuscola è associata una fioritura di studi letterari che condusse, tra l’altro, ad una consistente opera di trascrizione di opere dell’antichità classica, molte delle quali si sono così salvate fino ai nostri giorni.
carta: già nel II sec. d.C. in uso presso i Cinesi, che la fabbricavano con vegetali e stracci, la carta divenne nota agli Arabi sul finire del sec. VIII: essi ne concentrarono la fabbricazione in grandi cartiere dislocate da Damasco a Baghdad e dall’Armenia all’Egitto. In Europa, le prime cartiere comparvero in Spagna e in Italia, dove la produzione è documentata dalla fine del XIII sec. in poi.
Il metodo arabo di fabbricazione della carta, basato sulla macerazione di stracci di
tessuto e sulla lavorazione della poltiglia così ottenuta, fu in uso per tutto il Medioevo.
Gli stracci, selezionati, lavati e sfilacciati, erano immersi in tini per la macerazione e ridotti in pasta; la pasta veniva
raccolta dalle forme, telai rettangolari dotati di una rete di fili metallici disposti in senso
orizzontale (vergelle) e verticale (filoni), e contrassegnati dalla filigrana; immersa
nel tino, la forma catturava un sottile strato di pasta che, una volta estratto, veniva lasciato essiccare e
formava il foglio. Immersi in colla animale, i fogli erano poi compressi, asciugati e impaccati. La filigrana, adoperata
dalle singole cartiere per distinguere il proprio prodotto, consiste in un filo di ottone o di argento modellato a formare
un disegno preciso, visibile in trasparenza sul foglio finito.
CIL (Corpus Inscriptionum Latinarum): raccolta, in quindici volumi, di tutte le iscrizioni
latine dalle origini al 600 d.C., avviata e parzialmente realizzata da T. Mommsen e pubblicata a Berlino a
partire dal 1863. L’opera è perennemente in fase di rielaborazione per il necessario aggiornamento.
CLA (Codices Latini Antiquiores): raccolta in dodici volumi dei più importanti
esempi di manoscritti di carattere letterario, databili dalla metà del IV sec. fino all’800 d.C. A ciascun codice è dedicata
una breve scheda descrittiva, accompagnata da uno specimen. I primi undici volumi dell’opera, curati da E.A. Lowe, sono
divisi per aree geografiche. Il dodicesimo volume è un supplemento curato dallo stesso Lowe, mentre l’opera è completata dagli
aggiornamenti pubblicati da B. Bischoff e V. Brown.
codice: formato librario costituito di fogli in
materiale variabile (papiro, pergamena, carta), riuniti in
fascicoli cuciti tra loro (si vedano già i codices lignei di tabulae ceratae) e protetti
da una legatura, spesso formata da assi di legno ricoperte o no di pelle. Dal IV sec. d.C. in poi, il codice di
pergamena si afferma come supporto scrittorio prevalente nella produzione libraria, che dominerà per tutto il Medioevo.
collazione: operazione con la quale si confrontano i testimoni di un’opera allo scopo di esaminare il testo dell’opera medesima offerto da ciascuno di essi e di raccogliere dati utili alla costituzione del testo e significativi per valutare la posizione del manoscritto nella tradizione dell’autore/opera che trasmette.
colonna, di scrittura: disposizione del testo che prevede l’articolazione dello stesso in brevi righe su colonne, già propria del rotolo di papiro e attestata anche nei codici più antichi (IV-V sec.; due, tre, di rado quattro colonne). L’uso di scrivere su colonne inizia a rarefarsi nel VI sec., a favore di una disposizione del testo a tutta pagina.
colophon: collocato alla fine (nella parte più protetta) del rotolo di papiro, indicava il nome dell’autore e il titolo dell’opera trascritta, possibilmente messi in rilievo da una scrittura di modulo più grande, talvolta accompagnata da elementi ornamentali.
compilatore: erudito o studioso che raccoglieva excerpta da opere esegetiche precedenti per riunirle in un commento miscellaneo, frutto di compilazione.
congettura: intervento con il quale, basandosi sull’intuito, si cerca di restaurare la lezione corretta in un luogo del testo che è manifestamente corrotto o che è ritenuto tale.
consenso: si parla di consenso quando un gruppo di manoscritti tramanda concordemente una lezione o un testo.
contaminazione: il processo di contaminazione si verifica quando il testo di una copia, o codex descriptus, è determinato dal confronto con altri esemplari oltre all’antigrafo. È verosimile che un amanuense o un correttore che avesse dubbi sul testo dell’antigrafo collazionasse altri esemplari della stessa opera, adottandone eventualmente la lezione variante, che inseriva nel testo sostituendola a quella dell’antigrafo, oppure annotandola in margine o nell’interlinea. In uno stadio successivo della tradizione, chi copiasse dal manoscritto con varianti marginali avrebbe seguito ora le une, ora le altre, avanzando il processo di contaminazione: si parla in questo caso di tradizione contaminata.
copista: amanuense incaricato di realizzare la copia dei libri. Durante
l’alto Medioevo, l’attività dei copisti si svolgeva all’interno degli scriptoria ecclesiastici (per
lo più afferenti a un monastero). Lo scriptor, dopo aver proceduto alla squadratura e alla rigatura
delle pergamene, eseguiva la copia sui fogli sciolti di ciascun quaderno, lavorando su un’assicella poggiata alle ginocchia oppure su
un apposito tavolino con superficie a cerniera (pluteum), sul quale si stendeva un panno (epicausterium). Lo scriba teneva
davanti a sé il testo da copiare (exemplar) di cui spesso seguiva le righe con una cavilla. Al termine del lavoro, lo
scriba talvolta apponeva, oltre all’eventuale sottoscrizione, versi augurali o relativi alla fatica
sostenuta per copiare, oppure la preghiera di un compenso.
Verso il sec. XII, con la nascita delle Università, il monaco amanuense è affiancato e progressivamente sostituito, nel contesto di un generale incremento della produzione libraria, dallo scriptor laico, professionista della scrittura, che lavora come libero artigiano o come dipendente di librai.
correzione: il termine si riferisce agli interventi effettuati sul testo dal copista durante il lavoro o da altri amanuensi (correttori o mani correttrici) in fasi successive, per sanare luoghi errati o presunti tali. Una prima correzione integrale (revisione) del codex descriptus si svolgeva al termine dell’operazione di copia: di tale procedimento, con date e responsabili, è rimasta memoria nelle sottoscrizioni di alcuni manoscritti superstiti. Gli interventi di più correttori in uno stesso manoscritto attestano, di norma, diversi strati di correzione.
Laddove si sono verificati interventi di correzione ma non si è in grado di attribuire tali interventi ad una mano precisa,
si distingue fra il testo (o la lezione) che precede la correzione (ante correctionem, abbreviato con la
dicitura “ac” in apice al siglum del manoscritto relativo), e il testo (o la lezione) risultante dalla
correzione (post correctionem, abbreviato con la dicitura “pc” in apice al siglum relativo). Era
possibile correggere con varie modalità: nel caso di eliminazione di una o più lettere, per esempio, si poteva intervenire
per espunzione, depennamento (apposizione di un tratto trasversale sulla/e lettera/e da
eliminare); rasura; cancellazione (apposizione sulla/e lettera/e di un segno simile al nostro ‘cancelletto’ #).
corruttela: guasto prodottosi nel testo di un manoscritto, o trasmesso al manoscritto da un altro esemplare (durante la copia o per contaminazione), originato da cause meccaniche (errori) o interventi consapevoli o semiconsapevoli di un copista (interpolazioni).
corsive, scritture: il termine indica, genericamente e in senso collettivo, un insieme di scritture correnti e usuali, propense all’uso di legature, in continua evoluzione in quanto proprie di un uso quotidiano e individuale.
Realizzazioni grafiche corsive interessano la scrittura latina fin da epoca molto antica, in forme prima maiuscole (cosiddetta “corsiva romana antica”), che tendono a evolversi, già nel II sec. d.C., verso forme minuscole (“corsiva nuova” o “minuscola corsiva”).
costituzione del testo (constitutio textus): operazione con cui l’editore, basandosi sull’esame della tradizione manoscritta (recensio), sullo studio comparato dei testimoni (collazione) ed eventualmente intervenendo con correzioni (emendatio), ristabilisce il testo di un’opera nella forma che si può ragionevolmente considerare la più vicina a quella elaborata dall’autore, ovvero al testo “storicamente concretatosi” all’epoca della composizione.
critica del testo: la critica del testo mira, attraverso i procedimenti di recensio ed emendatio, alla costituzione del testo e alla pubblicazione di un’edizione critica dello stesso.
datazione: mira a collocare la fattura di un reperto manoscritto entro una griglia cronologica divisa per secoli, all’interno dei quali siano possibilmente individuabili periodi più brevi e/o storicamente significativi, per esempio con l’attribuzione del reperto per quarto di secolo, alla fase iniziale (ineunte) o a quella finale (exeunte) del secolo stesso. Si considera datato un manoscritto che presenta un’indicazione originale di data, attribuibile in modo non equivoco al copista (o a uno dei copisti) che hanno scritto il testo. La datazione dei codici è talvolta agevolata dalla presenza di sottoscrizioni. Si considera databile un codice che contiene elementi interni, cioè conservati nel testo (dedica, citazione di personaggi e di eventi storici, ritratti, tavole pasquali), o esterni (identificazione del committente, annotazioni datate di poco successive alla fattura), che ne consentono la datazione entro un periodo inferiore ai trent’anni.
descriptus, codex: copia, apografo.
dictatum: si tratta in genere della trascrizione, effettuata
dagli studenti delle scuole medievali, di osservazioni dettate dal professore durante la lezione.
dittici eburnei: supporti scrittori decorati a bassorilievo, offerti
dai consoli, durante la tarda antichità, al momento di entrare in carica. Nel Medioevo, analoghi
supporti scrittori erano usati per trascrivere litanie o liste di benefattori delle chiese.
distinctio: operazione finalizzata all’inserimento
della punteggiatura nel testo tramandato da un codice, previa separazione delle parole (se ritenuta necessaria, o
conforme alla prassi dominante: vedi scriptio continua).
distintive, scritture: scritture calligrafiche, per lo
più maiuscole (capitale, onciale), adoperate almeno
a partire dal V sec. per distinguere luoghi rilevanti del testo (incipit, explicit, titoli), in abbinamento
ad un distinto tipo grafico utilizzato per la redazione del testo principale.
ductus: è rappresentato dalla rapidità con cui
viene eseguito il tracciato di una scrittura. Il ductus è posato (o diritto) quando
la scrittura è eseguita in modo non rapido, presenta tratti precisi e regolari, pochi legamenti fra le lettere
e assenza di inclinazione. Il ductus corsivo è, invece, di esecuzione veloce e
determina un tracciato rapido e irregolare, con abbondanza di legamenti fra le lettere e inclinazione a destra.
edizione critica: edizione di un’opera letteraria
che presenta un testo critico, ovvero un testo ricondotto, per effetto della costituzione
del testo, ad una forma che si presume vicina a quella originaria. Elementi essenziali dell’edizione critica
di un’opera classica, oltre al testo, sono la Praefatio, che rende conto
della recensio svolta dall’editore e indica i criteri che
hanno presieduto all’edizione; eventualmente lo stemma codicum; il
conspectus siglorum; l’apparato critico, talvolta
accompagnato da un secondo apparato di fontes et testimonia e contenente un panorama della
tradizione indiretta in rapporto con il testo principale.
ecdotica: il termine fu introdotto dal filologo francese H. Quentin
per indicare la critica del testo.
editio princeps: prima edizione a stampa di un testo.
elementare di base, scrittura: scrittura insegnata ai primi
gradini dell’educazione scolastica e/o tipica dei semialfabeti; nelle diverse epoche, può o no corrispondere
ad una delle scritture in uso in ambito documentario o librario.
emendatio: in termini generici, si tratta di quella fase
del lavoro filologico (già praticata dai maestri-filologi e dagli eruditi antichi e tardo-antichi) consistente
nella realizzazione di correzioni al testo, previa l’individuazione di problemi testuali (errori, corruttele).
La distinzione fra emendatio ope codicum (basata sulla collazione dei manoscritti) e emendatio
ope ingenii (basata sulla congettura) è stata superata dalla filologia posteriore a K. Lachmann: a partire
dalla definizione lachmanniana della recensio come momento
indispensabile dell’ecdotica, si può dire che l’emendatio ha assunto, nella
filologia moderna e contemporanea, una natura prevalentemente congetturale.
epigrafia: disciplina che studia le epigrafi, ovvero le iscrizioni
prodotte su pietra o metallo da civiltà antiche.
errori: è possibile definire come errori quelle corruzioni meccaniche
del testo che si producono durante l’operazione di copia del manoscritto. Alcuni errori sono provocati dal
fraintendimento della forma delle lettere nel passaggio da una tipizzazione grafica a un’altra (ad es. errori
da maiuscola, da minuscola, da insulare); altri errori sono provocati dal continuo
spostarsi dell’occhio dall’antigrafo all’apografo e viceversa: questi sono le omissioni e le
ripetizioni.
In paleografia, si definiscono errori poligenetici gli errori che possono prodursi in maniera indipendente
in ciascun esemplare; errori singolari gli errori propri di un singolo esemplare; errori
congiuntivi (o condivisi) gli errori comuni a due o più esemplari, che contribuiscono all’individuazione
di eventuali parentele fra essi esistenti; errori separativi quelli che, specifici di un manoscritto/gruppo
di manoscritti, consentono di distinguerlo/i da e opporlo/i a un altro manoscritto/gruppo di manoscritti.
esegetici, materiali: insieme delle glosse, scolî e più ampie note
di commento che, variamente dislocati sulla pagina (ad es. sui margini del codice come note marginali),
accompagnavano l’opera trascritta in molti manoscritti ed erano destinati a coadiuvarne la lettura e la
comprensione. Raccolti e tramandati insieme al testo principale, essi costituiscono spesso un’importante
testimonianza della tradizione esegetica relativa all’opera in questione.
espunzione: eliminazione di una parola, di un gruppo di parole o
di una parte di testo ritenuta estranea al testo originale. In codicologia, per espunzione si intende una
precisa modalità di eliminazione di una o più lettere, ottenuta ponendo uno o due puntini sotto (oppure uno
sopra e uno sotto) la/e lettera/e interessata/e.
explicit: formula di chiusura che registra il contenuto
dell’opera o di una
sezione dell’opera copiata. Talvolta la formula si limita al solo
termine explicit=”ha termine, finisce” (in origine abbreviazione di explicitus (est)
liber … =“È stato svolto il rotolo contenente il libro … ”, formula ricorrente
nel colophon dei rotoli di papiro); più spesso alla
formula si accompagna l’indicazione del titolo dell’opera/della sezione dell’opera e/o il nome
dell’autore. L’explicit era messo in rilievo da una delle seguenti tecniche (o da una
combinazione di esse): ingrandimento della scrittura, distanziamento fra righe o lettere, uso
del minio (da solo o in alternativa con l’inchiostro scuro), uso
di scritture distintive, aggiunta di motivi ornamentali e/o decorazioni a cornice.
fascicolo: unità di base del codice, si compone di un numero variabile di fogli, squadrati e
rigati, ripiegati al centro una o più volte, inseriti uno dentro l’altro e cuciti lungo la piegatura. Tra le forme di fascicolo più
diffuse si ricordano il quaternione, composto di quattro bifogli, e il quinione, formato da cinque bifogli. Non rari,
nei manoscritti a noi pervenuti, sono i fascicoli irregolari, così strutturati dall’origine, oppure divenuti tali con il tempo, a
causa della perdita o aggiunta di carte.
Tra il X e l’XI sec. si afferma, per facilitare l’operazione di rilegatura, l’uso di apporre sul margine inferiore dell’ultima carta
di un fascicolo le parole o le sillabe iniziali del fascicolo seguente (richiamo); tardo medievale è anche la numerazione dei
fascicoli, eseguita con il sistema del registro, ovvero con una serie di lettere indicanti i singoli fascicoli, accompagnate dal
numero d’ordine dei fogli nel fascicolo stesso (a1, a2, a3, a4, ecc.; b1, b2, b3, b4, ecc.). La numerazione dei singoli fogli, eseguita
prima con cifre romane, in seguito con cifre arabiche, entrò nell’uso soltanto con il XIII sec.
filologia: disciplina che si propone, attraverso la critica
testuale, di restituire testi, antichi e moderni, alla versione più vicina a quella da essi assunta all’epoca della loro formazione e
di fornire di essi un’interpretazione storico-letteraria.
frammenti membranacei: fogli, o parti di fogli, di pergamena (membrana)
sopravvissuti alla distruzione dei codici a cui appartenevano.
glossa: breve nota, interlineare o marginale, che mira a chiarire una parola o un sintagma
attraverso un sinonimo o una concisa spiegazione. Raccolte di glosse sono tramandate in appositi glossari.
gotica, scrittura: stile grafico, diffuso a partire dalla fine del sec. XI, che si distingue per
il disegno angoloso e serrato, la spezzatura delle curve, le aste verticali brevi sia in alto che in basso, l’alto numero delle abbreviazioni. La diffusione della scrittura gotica, tra XII e XIII sec., si accompagna all’affermazione di una nuova forma di libro e di un nuovo tipo di produzione libraria, legata alla nascita e allo sviluppo delle Università.
grammaticus: a Roma, almeno dal I sec. a.C., il termine è usato per indicare sia uno
studioso di testi letterari, interessato a problemi filologici e linguistici, sia un maestro di scuola, deputato a impartire un insegnamento
di tipo secondario.
graffiti: scritture realizzate su materia dura (ad es. la pietra di un muro), di norma tracciate
a sgraffio con strumenti metallici aguzzi (ad es. un chiodo o uno stilo); spesso si tratta di prodotti spontanei, di carattere
privato (nomi, conti, auguri, imprecazioni, allusioni scherzose o oscene, ma anche versi poetici noti) e dunque non calligrafici, ma
che offrono interessante testimonianza di scritture usuali. La pratica della scrittura a sgraffio sui
muri fu assai comune nel mondo romano fra i secc. I a.C. – III-IV d.C.
illustrazioni: vedi miniatura.
inchiostro: l’inchiostro (atramentum), di tonalità scure, si otteneva nell’antichità
da una combinazione nerofumo e gomma; nel medioevo, si adoperavano soprattutto preparati a base di vetriolo (che accentuava il tono
nero) e acido gallico (che, se prevalente, rendeva l’inchiostro rossiccio).
incipit: apertura di opera, o di sezione di opera (libro, capitolo), messa in rilievo
dall’uso del minio (talvolta alternato all’inchiostro scuro) per la prima o le prime righe e/o dalla
presenza di elementi decorativi come la littera notabilior.
incunabolo: il termine si riferisce ai primi prodotti della tipografia, dalle origini al
1500 (detti anche quattrocentine).
iniziale, lettera (littera notabilior): lettera di modulo più grande, posta in
apertura di pagina e/o di colonna nei libri in forma di codice. Presenti già nei manoscritti tardo-antichi, le
iniziali potevano essere anche colorate e/o decorate con motivi ornamentali (geometrici, fitomorfi, zoomorfi, figurativi) variabili a
seconda dell’epoca e dell’area geografica di produzione del manoscritto.
insulari, scritture: sono così definite le tipologie grafiche elaborate e adoperate in Irlanda e
Inghilterra, almeno a partire dal VI-VII sec. Si distingue, generalmente, fra una maiuscola o semionciale insulare, in uso fra i
secc. VII-X e caratterizzata da forme rotonde e schiacchiate, tratteggio pesante, aste corte, e dal triangolo applicato alle aste
verticali (“dente di lupo”), e una minuscola insulare, adoperata per documenti e manoscritti meno impegnativi e
caratterizzata dalla presenza di archi acuti nelle curve, aste discendenti prolungate e singolari legature verso il basso.
Le scritture insulari, esportate dai monaci irlandesi e anglosassoni, influenzarono le forme grafiche in uso nei monasteri continentali.
integrazione: ripristino di lettere o gruppi di lettere caduti o omessi, o restauro
congetturale di lacune.
interlineo: spazio che intercorre fra due righe di scrittura.
interpolazione: alterazione del testo originario (di norma attraverso un’aggiunta)
da parte del copista (interpolatore), che agisce in modo cosciente o semi-cosciente allo scopo di correggere errori veri o
presunti, oppure di migliorare o “abbellire” il testo.
interventi arcaizzanti: mirano a ripristinare nel testo, in maniera propria o improria, forme
linguistiche arcaiche.
ipercorrettismo: intervento che ripristina una forma morfologica “corretta” dove non è necessaria.
lacuna: perdita di una porzione più o meno estesa di testo, dovuta ad un guasto meccanico nel
manoscritto (danneggiamento o perdita di fogli o parti di fogli) o a omissioni di parole, frasi o versi. Le lacune possono essere
testimoniate nella tradizione (per esempio, segnalate dal copista che avesse davanti un esemplare mutilo), oppure
possono essere ipotizzate per congettura dall’editore moderno.
lapicida: incisore di testi su pietra o marmo, spesso basava la sua opera su modelli approntati
appositamente da un “disegnatore di lettere” (ordinator).
lezione: il termine indica la testimonianza specifica (il testo “leggibile”) di un manoscritto
particolare per una sezione dell’opera che tramanda. Lezioni autentiche sono quelle ritenute, per varie ragioni (ad es. per confronto
con testimoni attendibili), conformi al testo originario; lezioni singolari sono quelle che appaiono solo in un manoscritto/gruppo di manoscritti.
legatura: collegamento di due o più lettere fra loro, ottenuto mediante il prolungamento di
uno o più tratti che la/le compongono. In quanto effetti spontanei della dinamica scrittoria, le legature sono particolarmente frequenti
nelle scritture corsive.
localizzazione: consiste nell’individuazione dell’area di origine, ovvero del luogo
in cui un manoscritto fu prodotto e adoperato per la scrittura. La localizzazione/origine va distinta
dalla provenienza del manoscritto, che si riferisce, invece, all’ultima sede nella quale il codice si trovava prima di raggiungere
l’attuale luogo di conservazione.
lumeggiatura: tecnica pittorica, spesso adoperata nella miniatura,
consistente
nello schiarire e mettere in evidenza, rispetto al colore di base, le zone di luce della composizione.
maiuscola, scrittura: sono maiuscole le scritture il cui alfabeto è compreso
in un sistema formato da due linee parallele (sistema bilineare), che le aste dei singoli segni alfabetici non
oltrepassino né in alto né in basso.
mani: così si indicano i copisti intervenuti nella redazione di un nuovo manoscritto. In
particolare, si definisce “prima mano” il copista principale, mentre con l’espressione “mano correttrice” si
intende l’amanuense che ha effettuato correzioni, spesso distinto in base alla stratificazione del suo
intervento ( “seconda mano”, “terza mano” , etc.).
manoscritto: nell’ambito specifico della produzione libraria di intende
per prodotto manoscritto “un complesso di materiale scrittorio generalmente composto in forma di libro e più o meno
parzialmente ricoperto di scrittura a mano, di solito conservato, integralmente o in frammenti, in un’istituzione pubblica
o privata a ciò addetta” (Petrucci 1984, 9). Nel linguaggio filologico e paleografico, il termine è usato anche come
sinonimo di codice.
marginalia: annotazioni di commento (postille, chiose) apposte
ai margini del manoscritto di un’opera posseduto da un erudito, del quale attestano l’opera di studio e riflessione sul testo.
merovingica, scrittura: corsiva assai artificiosa (occhielli oblunghi, aste
sinuose, legature numerose e irregolari, segni abbreviativi con carattere ornamentale), che prende
nome dal suo impiego nella cancelleria dei re merovingi fra VII e VIII sec. e che fu adoperata in tutte le zone di influenza
politica e culturale franca (Francia centrale, Borgogna, Baviera, Italia nord-occidentale). Vari furono i tentativi, nell’uso
librario, di rendere la merovingica più posata, elaborati in diversi centri scrittori tra i quali Laon (“scrittura a-z”, sec. VIII)
e Corbie (“scrittura a-b”, seconda metà dell’VIII sec.).
miniatura: il termine indica sia la pratica di illustrare i manoscritti con decorazioni
e figurazioni variamente adattate al formato del libro, sia la singola illustrazione realizzata dal miniatore e collocata
in luogo rilevante del libro stesso (inizio, fine) o come accompagnamento del testo. Fioriture della miniatura, con conseguente
intensa produzione di codici miniati, si collocano nella tarda antichità (fine del IV – inizio del VI sec.) e in età carolingia.
minio: inchiostro rosso mattone usato per distinguere (talvolta in combinazione con
l’inchiostro scuro) elementi rilevanti del testo, per esempio i capoversi di singoli libri, gli explicit o i
titoli dei capitoli (rubriche). L’inchiostro rosso poteva essere adoperato anche per le citazioni (nei commentari altomedievali);
nei documenti, l’impiego del minio è eccezionale (si trova, ad esempio, nelle sottoscrizioni degli imperatori bizantini).
minuscola, scrittura: scrittura in cui il corpo delle lettere è compreso fra due parallele, e
le aste, ascendenti e discendenti, sono comprese nello spazio delimitato da altre due linee parallele, situate al disopra ed al disotto
delle prime due (sistema quadrilineare). Il passaggio da forme maiuscole (capitale e corsiva
antica) a forme minuscole è ben documentato a partire dai secc. III-IV d.C. (ma doveva essere in corso almeno dal II sec.) in testimonianze
di ambito scolastico (autori di scuola, glossari) e di natura usuale e privata.
Durante l’alto Medioevo, scuole e copisti attivi presso gli scriptoria monastici sono impegnati in incessanti
tentativi di elaborazione di forme minuscole da sostituire all’onciale e alla semionciale per
uso librario.
Si originano, laddove tali tentativi raggiungono un equilibrio, minuscole librarie svariatissime (da alcuni studiosi
dette “precaroline” ), alcune delle quali si elevano a tipi il cui uso permane per qualche tempo e si estende
al di fuori dello scrittorio nel quale sono state elaborate.
modulo: il termine si riferisce alle dimensioni di una singola lettera, sia rispetto
all’altezza che rispetto alla larghezza; si distinguono un modulo grande, uno medio e uno piccolo.
nazionali, scritture: scritture librarie tipizzate, minuscole o minuscoleggianti, elaborate
anche con il contributo di scriptoria monastici, in aree eccentriche ( “aree laterali” o periferiche) del continente
europeo (isole britanniche, penisola iberica, Italia meridionale), dove conoscono una notevole diffusione. La definizione di “nazionali” non
ha una connotazione etnica ma richiama un’unitaria evoluzione culturale locale che interessa, in alcuni casi, aree occupate da nazionalità
in formazione ed è accompagnata dall’elaborazione di forme grafiche che si evolvono a partire dal comune ceppo della scrittura latina.
neumi: simboli convenzionali, adoperati a fini di notazione musicale e attestati, nei manoscritti
latini, a partire dal IX sec.; essi indicano i punti in cui, nell’ambito di una melodia nota, la voce doveva elevarsi o discendere. Segno
fondamentale per indicare l’elevazione della voce era la virga, per l’abbassamento il punctum; gruppi di ascese e discese erano
segnalati da neumi collegati in vari disegni.
nomina sacra: abbreviazioni dei principali termini che indicano la divinità nel lessico
cristiano (Deus, Iesus, Christus, Spiritus, Dominus (noster), sanctus), generate per contrazione tra parte iniziale e parte
finale della parola. Tali abbreviazioni compaiono nei testi cristiani in latino nel IV-V sec. e, intorno al VI sec., sono attestate
anche in testi profani (ad es. in epigrafi, con riferimento all’imperatore o a re barbari).
notazione musicale: consiste nell’uso di vari sistemi di segni per indicare
graficamente i suoni e le loro combinazioni in discorso musicale. Tra le varie tipologie di notazione musicale, una si avvale di segni
convenzionali detti neumi.
notula: il termine indica una corsiva fitta e di modulo piccolo, a base
gotica o semigotica, usata in ambiente scolastico fra Trecento e Quattrocento.
omissioni: tipologie di errori provocati dal continuo spostamento dell’occhio dall’antigrafo all’esemplare in corso di copia, consistono nella caduta di singole parole (soprattutto brevi, come preposizioni e congiunzioni), gruppi di parole, interi versi o periodi.
L’aplografia (fenomeno opposto alla dittografia) è l’omissione di lettere identiche e consecutive (se per sese; quicquid per quicquid id).
Il saut du même au même si verifica quando, ritornando all’antigrafo, l’occhio si ferma su una parola identica, o molto simile, all’ultima della pericope di testo appena trascritta e lì si blocca senza accorgersi che la parola appartiene a un altro, successivo contesto: la copiatura riprende, dunque, “saltando” la sezione di testo intermedia.
onciale, scrittura: scrittura di carattere maiuscolo, dal tratteggio continuo e
fluido, e dalle lettere che appaiono compresse nel modulo bilineare, così da richiudersi in senso circolare e acquisire un caratteristico
arrotondamento delle forme. Propria dell’onciale è anche l’acquisizione di alcuni segni alfabetici minuscoli, di cui si riducono aste e
occhielli per contenerli entro lo schema bilineare.
Largamente adoperata in tutto l’occidente dal IV all’VIII-IX sec., con il disuso della capitale (intorno al VI sec.),
l’onciale diventa la scrittura libraria di maggiore dignità; dopo l’VIII sec., è adoperata, insieme alla capitale,
come scrittura distintiva per titoli, rubriche e lettere iniziali. In epoca
tardo-antica, importanti centri di produzione di codici in onciale furono localizzati in Africa e in Italia, in particolare a Roma, dove,
fra VI e VII sec., si sviluppò un centro scrittorio molto attivo attorno alla figura di Gregorio Magno.
ornamentazione: complesso degli elementi ornamentali (titoli,
rubriche, lettere iniziali, illustrazioni) che costituivano l’apparato decorativo del manoscritto. Nel codice,
l’apparato ornamentale si concentra progressivamente nella parte iniziale, che diventa luogo per decorazioni canoniche, quali ritratti
(di poeti, di evangelisti, etc.), canones (tavole di concordanza), e iniziali decorate.
ostraca: terrecotte di riuso (cocci o frammenti di oggetti deteriorati), che
fungevano, nell’antichità greco-romana, da supporto per scritture occasionali (conti, appunti o altri testi di natura privata), realizzate a
sgraffio con una punta metallica o a pennello con inchiostro.
paleografia: disciplina che si occupa della scrittura a mano, delle sue differenti fasi e
realizzazioni, delle tecniche adoperate per scrivere e per produrre materie scrittorie nelle diverse epoche, del processo di produzione delle
testimonianze scritte e dei prodotti realizzati (libri, ma anche scritti di natura individuale e privata), relativamente alla loro
storia (datazione, localizzazione), al loro aspetto grafico e a tutti quegli
elementi esteriori utili allo studio del loro contenuto.
palinsesto: codice che contiene due livelli di scrittura, di cui il primo, più antico, è
stato cancellato per consentire il reimpiego della materia scrittoria. Simili pratiche di riscrittura sono testimoniate già nell’antichità con
riferimento al papiro; durante alcune fasi del Medioevo, l’alto costo della pergamena rese la
pratica molto diffusa. Destinati a riscrittura erano, di preferenza, manoscritti mutili e/o contenenti testi ritenuti ormai privi di valore,
tra i quali vecchie versioni di testi sacri o legislativi, oppure opere di autori profani della letteratura greca e latina: molti palinsesti
furono ricavati, nei secc. VIII-IX, da codici tardo-antichi di autori classici.
La scrittura più antica (scriptio inferior) era grattata con il raschietto, oppure scolorita con mezzi chimici come la lavatura con il
latte: immersi nel latte, i fogli erano poi strofinati con una spugna, ricoperti di farina per preservarne la flessibilità, raschiati, lisciati
con pietra pomice e rifilati per ridurli al nuovo formato. La possibilità di far riaffiorare la scrittura sottostante varia a seconda dell’inchiostro
e della tecnica usata per cancellarlo: l’uso di reagenti chimici, nell’Ottocento, dopo aver ravvivato le scritture perdute, ha danneggiato i
manoscritti in modo spesso irrimediabile; oggi, la lettura dei palinsesti avviene grazie a tecniche fotografiche sofisticate.
papiro: materia scrittoria di origine vegetale, di uso corrente nell’antichità (almeno fino
al IV sec.). Il papiro è un giunco palustre, coltivato in Egitto lungo il Nilo e, almeno dal VI sec. d.C., a Siracusa, in Sicilia.
Il foglio di papiro (Plin. Nat. Hist. 13. 11. 71-72) si ricava dal fusto della pianta, scortecciato e tagliato in sottili strisce
longitudinali (phylirae), disposte una accanto all’altra a formare una scheda quadrangolare, quindi ricoperte da un secondo
strato di strisce, posizionate in senso trasversale alle prime. Il foglio così ottenuto (plagula), ripulito dalle mucillagini con
lavaggi in acqua, era battuto con magli o martelli e seccato al sole. I margini superiore e inferiore del foglio (frontes) venivano
pareggiati con la pomice. Dopo la rifinitura, i fogli erano messi in commercio singolarmente o in forma di rotoli.
La scrittura poteva occupare sia il recto che il verso del foglio.
Il papiro fu in uso anche nel Medioevo, soprattutto nelle cancellerie occidentali (cancelleria dei re ostrogoti e merovingi, cancelleria
pontificia), dove era adoperato per redigere atti, documenti, lettere.
Il nome sopravvive ancora oggi in molte lingue europee per il indicare il foglio di carta (ted. “Papier”, fr. “papier”, ingl. “paper”, sp. “papel”).
pergamena: pelle animale adibita a materia scrittoria dopo adeguata concia o preparazione;
adoperata già nell’antichità, il suo uso divenne dominante nel Medioevo, associandosi al formato librario del codice.
L’immersione in un bagno di calce consentiva di dissolvere i peli e sgrassare la pelle animale; questa veniva poi raschiata ed essiccata per
renderla bianca, levigata e flessibile. Ulteriori trattamenti variavano a seconda di regioni, epoche e qualità del materiale grezzo: si
impiegavano pelli di vitello (molto resistenti), di capra e pecora; pregiata era la pergamena, chiara e sottile, detta “virginea”
(o “carta non nata”), ottenuta dalla pelle di vitellini non nati. Problemi di approvvigionamento potevano indurre a sfruttare anche
le parti marginali delle pelli. Nel formare i fascicoli, i fogli di pergamena erano disposti avendo cura di affiancare, di volta in volta,
pagina chiara (lato carne) con pagina chiara, e pagina scura (lato pelo, meno elastico) con pagina scura.
La qualità della pergamena, le attenzioni prestate alla sua scelta e alla sua preparazione (affidata, di norma, a un pergamenarius)
possono fornire un criterio per valutare il livello di uno scriptorium.
rasura: sezione del foglio di un manoscritto su cui è avvenuta la raschiatura di una lettera/gruppo di lettere. Nel punto interessato, il foglio può apparire sbiadito alla vista e leggermente incavato al tatto; talvolta, è ancora visibile la scrittura sbiadita o tracce di essa.
recensio: il termine indica 1) l’esame dei documenti della tradizione, ovvero la descrizione e valutazione dei singoli testimoni, la cui conoscenza è necessaria per la ricostruzione del testo tràdito; 2) il quadro offerto dalla tradizione (o da parte di essa) a esame avvenuto.
Si parla di recensione chiusa nei casi in cui è possibile risalire, grazie alla presenza di lezioni coincidenti negli apografi, alla lezione dell’archetipo, o di stadi della tradizione anteriori alle copie in nostro possesso; in teoria, all’interno di una recensione chiusa, è possibile definire lo stemma codicum. Nel caso in cui si sia verificata contaminazione, la recensione è aperta (o orizzontale) e non prevede la ricostruzione di uno stemma.
recentiores: manoscritti appartenenti ad uno stadio seriore della tradizione di un’opera/autore.
recollectae: appunti presi dagli studenti, in età umanistica, durante le esposizioni orali dei professori.
recto: lato del foglio di papiro con le fibre vegetali disposte in senso orizzontale. Nel rotolo, costituiva la parte interna, dove la scrittura (testi di natura letteraria) si disponeva in colonne sulla successione dei fogli, in direzione parallela al lato lungo del rotolo stesso, cioè secondo l’orientamento delle fibre.
rigatura: i fogli destinati a formare i fascicoli di
un codice erano squadrati con linee marginali perpendicolari per inquadrare il foglio e delimitare
lo specchio di scrittura, e rigati con linee parallele orizzontali
destinate ad ospitare lo scritto. Non di rado, doppie linee verticali servivano da guida per tracciare
le lettere iniziali. I fogli erano squadrati e rigati con punte metalliche a secco,
secondo varie modalità; più tardi (XI-XII sec.) si cominciarono ad adoperare la rigatura a piombo e quella a inchiostro.
L’opera di rigatura era intrapresa prima di formare il fascicolo, ora foglio per foglio, ora riunendo più fogli per volta, ora
sull’intero fascicolo; ausilio alla rigatura erano fori di guida eseguiti al centro del foglio (in epoca tardo-antica) o
sul margine esterno dei fogli o dell’intero fascicolo (nel Medioevo); altri fori erano eseguiti nei margini superiore e inferiore
come guida per tracciare le righe di impaginazione del testo.
L’impiego dei vari sistemi di rigatura può rappresentare un elemento utile per la datazione e la localizzazione del manoscritto.
ripetizione: o dittografia, è il fenomeno inverso all’aplografia e consiste nella ripetizione impropria di alcuni elementi del testo (sese per se, quicquid id per quicquid).
rotolo, di papiro: formato più antico e diffuso del libro in papiro. I
rotoli (uolumina), di lunghezza variabile, erano costituiti di fogli incollati fra loro e arrotolati intorno ad un
bastoncino di legno o avorio (umbilicum) dalle estremità (cornua) sporgenti, scolpite, dorate o tinte negli
esemplari più curati; una listarella di pelle attaccata all’esterno indicava il contenuto del rotolo. I rotoli si componevano
di fogli incollati in modo tale che, da uno stesso lato, le fibre fossero disposte tutte nella medesima direzione (orizzontale,
parallela ai margini del rotolo sul recto; verticale, perpendicolare ai margini del
rotolo sul verso).
Nei rotoli, in genere di contenuto letterario, la scrittura si disponeva in colonne sul recto dei fogli: per la lettura, il rotolo
si svolgeva in senso orizzontale. Molto rari sono i rotoli opistografi, cioè scritti su recto e verso. I testi di
natura documentaria, di norma su singoli fogli, erano scritti transversa charta (verso), nel senso della minore
larghezza del foglio, e svolti in verticale; per i documenti si adoperava spesso il verso di rotoli letterari smembrati.
In alcuni casi, anche i documenti venivano incollati tra loro, formando un rotolo fittizio destinato alla conservazione in archivio.
scolio: nota di commento al testo, disposta sul margine del manoscritto o in uno spazio apposito della pagina.
scriptio continua: disposizione del testo sulla pagina che non prevede alcuna forma di divisione delle parole; la pratica è comune nella tarda antichità e nei primi secoli del Medioevo; è abbandonata intorno al VII-VIII sec.
scriptorium: il termine può indicare sia il luogo fisico che l’istituzione in cui si realizzava, in modo organizzato e comunitario, la produzione del libro manoscritto durante la tarda antichità e l’alto Medioevo. Dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente e l’affermazione dei regni barbarici (intorno al VI sec.), scriptoria nascono nelle sedi vescovili e, soprattutto, presso le comunità monastiche, centri esclusivi di conservazione della cultura e di salvaguardia e produzione del patrimonio librario fra i secc. VI-VII e XII. La presenza di uno scriptorium è, di norma, complementare a quella di una biblioteca, dove si raccolgono codici antichi di diverse provenienze e codici nuovi trascritti appositamente dai copisti dello scriptorium. Molti scriptoria furono anche scuole calligrafiche facenti capo a dotti e maestri di scrittura.
In epoca altomedievale, scriptoria erano attivi anche presso la corte dei sovrani (si ricorda, ad esempio, lo scriptorium attivo sotto Lodovico il Pio).
segni diacritici (notae): insieme di segni grafici adoperati nell’edizione critica di un testo per evidenziare elementi notevoli. Un sistema di segni diacritici era già in uso presso i filologi alessandrini (III-II secolo a.C.), per indicare anomalie (versi spuri, erroneamente dislocati o ripetuti, turbamenti nell’ordine delle parole) e loci notevoli; la pratica, seppure diversamente articolata, ha accompagnato l’attività dei grammatici antichi e tardo-antichi, e dei commentatori medievali.
Nelle edizioni critiche moderne, i principali segni diacritici che accompagnano il testo (non sempre usati in modo univoco) sono le parentesi uncinate, <>, per le integrazioni; le parentesi quadre, [], per le espunzioni; per i loci desperati, le cruces; gli asterischi, ***, per le lacune.
semionciale: realizzazione libraria di forme di minuscola primitiva, la cui elaborazione si avvia, a partire da un uso privato e scolastico, tra la fine del V e l’inizio del VI sec., per lo più all’interno di centri scrittori ecclesiastici. Caratteri fondamentali della semionciale sono le forme arrotondate e schiacciate, l’accorciamento delle aste verso l’alto e verso il basso, la limitazione di legature e abbreviazioni.
Pur rimanendo un “canone in formazione” (Cencetti), la semionciale conosce un’ampia diffusione sul continente durante l’alto Medioevo, mentre in area insulare (irlandese, celtica e anglosassone) si sviluppano varianti particolari (“semionciale insulare”). È adoperata, più che per testi biblici o liturgici (scritti nella più canonica onciale), per testi di studio e di lettura in uso nelle comunità e nelle scuole religiose (quasi una “libraria d’uso”), come opere patristiche e raccolte canonistiche.
Il termine “semionciale”, invalso nell’uso nel XVIII sec. per distinguere questa scrittura dalle “minuscole antiche” del III-IV sec. che ne sono all’origine, non sottintende legami di derivazione diretta dall’onciale.
siglum (-a), sigla (-e): lettera dell’alfabeto latino o greco (maiuscola o minuscola) convenzionalmente associata a ciascuno dei manoscritti di una data tradizione, per indicarlo in forma abbreviata. Nell’edizione critica, un conspectus siglorum è deputato a fornire l’elenco dei sigla, associandoli ai rispettivi codici.
specchio di scrittura: quadrilatero all’interno del quale si disponeva il testo, delimitato attraverso la squadratura del foglio e scandito da righe orizzontali destinate a guidare la scrittura.
spurio: aggettivo adoperato con riferimento ad elementi testuali non riconducibili alla versione originaria di un testo.
stemma codicum: modello elaborato (o elaborabile) per rappresentare le relazioni di dipendenza intercorrenti fra i testimoni di una tradizione. Nello stemma, di impostazione genealogica, i vari testimoni si dispongono in rapporto di filiazione su vari livelli rispetto ad un archetipo. La critica stemmatica ha come presupposti essenziali l’accertamento di una recensione chiusa e di una trasmissione verticale dei testi.
sottoscrizione (subscriptio): annotazione apposta alla fine del codice, recante una o più informazioni sull’opera copiata e/o sul codice medesimo, quali il nome del copista, del correttore, del possessore (se persone diverse), la data di conclusione del lavoro, le modalità della revisione. Qualora annoti la data di redazione del testo, la sottoscrizione fornisce un importante elemento di datazione. Se contenute nell’antigrafo/in uno degli antigrafi e confluite nella copia/nelle copie, invece, le sottoscrizioni possono trasmettere informazioni relative ad uno stadio precedente della tradizione (data di composizione dell’opera da parte dell’autore; data di redazione dell’antigrafo; data di confezione di un esemplare ufficiale). In questo modo, varie sottoscrizioni apposte in calce a manoscritti tardo-antichi sono giunte fino a noi attraverso i loro apografi.
tabulae ceratae (o cerussatae, o cerae): erano costituite da un supporto di legno (o di avorio: vedi dittici eburnei), con bordi in rilievo e incavo centrale, spalmato di uno strato sottile di gomma lacca fusa (nel Medioevo di un impasto di cera e pece). La scrittura si realizzava con uno stilo, in ferro o in osso, dotato di una punta per scrivere e, all’estremità opposta, di una spatula per cancellare, pareggiando la cera, quanto scritto in precedenza. Le tavolette riunite, tenute insieme da fili di ferro passati in appositi fori praticati sui margini, formavano il codex o codicillus (o i pugillares), che poteva essere diptychus (se formato da due tavolette), triptychus (tre tavolette), polyptychus (più di tre tavolette).
Diffusissime nell’antichità, le tavolette cerate erano usate nella Roma repubblicana per usi correnti (redazione di lettere, documenti, minute ed esercizi di scuola, etc.); il loro impiego in scritture documentarie si mantenne fino alla tarda antichità e proseguì fino al basso Medioevo.
testimone: elemento della tradizione diretta (testimone diretto: frammento, rotolo, codice) o indiretta (testimone indiretto: citazione, reminiscenza) che contiene il testo di una data opera e ne attesta uno stadio di trasmissione.
tibicines: versi incompleti dell’Eneide, così chiamati per analogia con le impalcature di sostegno degli edifici (cfr. Vita Donat. 24).
titoli: nel rotolo di papiro, il titulus (o index) era un cartellino, sporgente e pendente, che recava l’indicazione dell’opera o delle opere in esso contenute, poi ripetuta nel colophon. Nel codice, si introduce il titolo corrente, che viene fatto risalire all’epoca dei più antichi manoscritti occidentali oggi conservati, e contiene il titolo dell’opera, per lo più in forma abbreviata e in scrittura di modulo piccolo, posto nel centro del margine superiore delle due pagine, sinistra e destra. Anche per i titoli correnti, dal V secolo in poi, è attestato l’uso di scritture distintive.
tradizione: il termine si riferisce all’insieme delle forme concrete in cui un testo è giunto fino a noi, rappresentate dai testimoni (manoscritti, frammenti e altri monumenti grafici) attraverso i quali il testo è stato trasmesso. Il termine “tradizione”, in alternativa, può riferirsi alle modalità attraverso le quali i testi sono sopravvissuti e sopravvivono (tradizione manoscritta, tradizione orale, tradizione diretta e indiretta): in questo senso, il termine è adoperato come sinonimo di trasmissione.
trasmissione: processo che consente, con varie modalità, la conservazione di un’opera letteraria attraverso i secoli. La trasmissione (o tradizione) diretta avviene tramite la produzione di nuove copie del manoscritto contenente una data opera, che diventano fonti dirette per l’opera stessa; la trasmissione (o tradizione) indiretta è invece affidata alle citazioni o reminiscenze della, o riferimenti all’opera in questione in testi di altra natura, che ne costituiscono le fonti indirette. Nell’ambito della trasmissione diretta, si intende per trasmissione verticale di un’opera la trasmissione che sia avvenuta per mezzo di testimoni discendenti uno dall’altro attraverso uno o più passaggi o stadi; una trasmissione orizzontale, invece, è caratterizzata dalla contaminazione fra codici.
tratto/tratteggio: il termine indica l’insieme di numero, ordine di successione e direzione dei singoli tratti che costituiscono un segno grafico; dall’evoluzione del tratteggio dipendono, nella maggioranza dei casi, le mutazioni nella forma di lettere e legature. Il termine può anche riferirsi alla natura spessa o sottile dei tratti che costituiscono le singole lettere: in tal senso, si distingue un tratteggio pesante, con forti contrasti fra tratti grossi e tratti sottili, da un tratteggio leggero, privo di netti contrasti.
usuale, scrittura: scrittura adoperata comunemente dalla maggior parte degli scriventi per i bisogni della vita quotidiana, caratterizzata nell’esecuzione da spontaneità, rapidità e tendenza alla semplificazione dei segni. Nei periodi di grande diffusione dell’alfabetismo (impero romano nel II sec. d.C.; Italia dei secc. XIV-XV), la scrittura usuale può esercitare una notevole influenza sullo sviluppo generale delle forme grafiche; in altre epoche può essere assente o irrilevante.
Unterrichtspraxis: pratica di insegnamento.
valore testimoniale: attendibilità di un testimone o di una lezione ai fini della costituzione del testo.
variante testuale: lezione, presente in uno o più codici, alternativa a quella attestata da altri testimoni; può essere di natura ortografica (variante formale), oppure semantica (variante sostanziale). In base alla dislocazione sulla pagina, si distingue fra varianti interlineari (segnate nell’interlineo) e varianti marginali (annotate a margine del testo principale).
verso: lato del foglio di papiro con le fibre vegetali disposte in senso verticale, ovvero perpendicolare rispetto alle strisce formanti il recto. Il verso era utilizzato soprattutto per la redazione di documenti.
visigotiche, scritture: sono così indicate le forme grafiche, prima corsive e poi anche librarie (minuscole), in uso in Spagna fra VII-VIII e XII-XIII sec.; spesso, tali forme risentono di particolarità locali e/o dell’influenza della scrittura araba (dopo la conquista araba della penisola iberica, 711-714).
volgarizzazione: scadimento del testo di un’opera che risponde a criteri banalizzanti.
volumen: nel suo significato originario, il termine indica il libro in forma di rotolo di papiro; in seguito, la denominazione viene estesa al libro in forma di codice.
vulgata: nell’antichità, versione di un testo che si canonizza sulla base della sua maggiore accettazione e/o della sua diffusione, dovute a vari fattori (per esempio, all’uso in ambito scolastico). In età umanistica, la vulgata o textus receptus, è un testo basato su un solo codice dell’opera, ritenuto il migliore (codex optimus) ed emendato ope ingenii, o ricorrendo a un numero limitato di altri testimoni, in genere quelli ritenuti più antichi, o formalmente più corretti, o semplicemente quelli disponibili.
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