L’editore di Virgilio deve districarsi nella selva di fonti dirette e testimonianze indirette che trasmettono il testo e già il primo passo, stabilire la recensio, pone difficoltà notevoli. I passaggi successivi (in genere, la determinazione di rapporti stemmatici tra i testimoni e la ricostruzione dell’archetipo di tutta la tradizione), risultano per il testo di Virgilio addirittura impossibili.
La collazione dei codices antiquiores, infatti, non ha permesso di stabilire relazioni precise fra i manoscritti: essi appaiono portatori di tradizioni distinte e non possono essere ricondotti ai rami di uno stemma bipartito o tripartito. Soltanto fra pochi codici di età carolingia, e in qualche caso fra codici tardo-antichi e medievali, è stato possibile stabilire una relazione di dipendenza, più o meno diretta: nel caso di Guelf. Gud. lat. 2° 70 (γ), ad esempio, sappiamo che il manoscritto fu copiato nel IX secolo a Lione dal Palatino (P=Vat. Pal. lat. 1631) o da un suo discendente; allo stesso modo, il testo di Bucoliche e Georgichecontenuto nel Romano (R=Vat. lat. 3867) fu copiato, in epoca carolingia, nel manoscritto di Fleury Bern. 172 + Par. lat. 7929 (a).
Considerata, in generale, la grande quantità di manoscritti e data la forte contaminazione fra i testimoni tardo-antichi, nel caso di Virgilio è opportuno parlare di recensione aperta.
Il problema della presenza di un archetipo per i codici tardo-antichi di Virgilio era già stato affrontato dal Funaioli, che ne postulava l’esistenza sulla base degli errori comuni agli antiquiores, collocandolo nel IV secolo; ipotesi e datazione sono state riprese da Courtney.
In studi più recenti, invece, Geymonat e Timpanaro hanno ribadito l’assenza dell’archetipo nella tradizione di Virgilio. Da una parte, secondo Timpanaro, è difficile persuadersi che un testo diffuso come Virgilio, all’apice dell’Impero e della sua stessa trasmissione, fosse ridotto a una copia sola; d’altra parte, la mancanza dell’archetipo non esclude, di per sé, la presenza di errori comuni a tutta la tradizione diretta virgiliana (per alcune osservazioni sulle corruttele poligenetiche che non rimandano necessariamente ad un archetipo si veda Pasquali).
Dopo Lachmann, il compito degli editori di Virgilio si è concentrato sulla collazione sistematica deicodices antiquiores, nel tentativo di definire l’importanza del contributo apportato dai singoli manoscritti tardo-antichi alla costituzione del testo: da Ribbeck in poi, in particolare, si è definita una visione più equilibrata dell’importanza dei singoli codici, bilanciando, ad esempio, l’autorità del Mediceo (M=Med. Laurent. lat. XXXIX,1) con la valorizzazione di altri testimoni, come P. Ribbeck, inoltre, è stato il primo ad affermare l’importanza delle testimonianze di tradizione indiretta per la critica testuale virgiliana.
L’edizione oxoniense di Mynors costituisce il primo tentativo di studiare i codici carolingi di Virgilio ai fini della costituzione del testo. Infatti, Mynors aggiunse ai codices antiquiores due frammenti dell’VIII secolo e tredici manoscritti del IX secolo (di cui quattro già collazionati dal Ribbeck).
Nel 1975, poi, la dissertazione di Kaster sulla tradizione dell’Eneide nel IX secolo proponeva la suddivisione in gruppi dei manoscritti collazionati da Mynors, studiandone le reciproche relazioni, nonché gli strati di correzione. In due articoli pubblicati pochi anni dopo (1985 e 1986), Holtz redasse una lista provvisoria dei manoscritti carolingi di Virgilio esistenti, basata sui registri dell’Institut de recherche et d’histoire des Textes di Parigi. Questa lista, di fatto, ha preparato il terreno per la voce “Virgilio” del catalogo di Munk Olsen.
L’edizione dell’Eneide di Gian Biagio Conte rappresenta il risultato più avanzato di decenni di studi sui carolingi di Virgilio: il testo di Conte, infatti, tiene conto della testimonianza di tutti i codici completi del IX secolo.
Per quanto riguarda il contributo della tradizione indiretta –commenti, glosse e scolî– alla costituzione del testo, un ostacolo notevole è determinato dalla constatazione che le edizioni critiche di queste opere oggi disponibili non possono considerarsi ancora complete, aggiornate e affidabili. Mentre il contributo della critica virgiliana antica è stato valutato in maniera attendibile nell’opera di Timpanaro, molto rimane da fare per lo studio dell’esegesi virgiliana in età successive alla tarda antichità. In questo senso, l’edizione delle glosse e degli scolî più significativi contenuti nei manoscritti carolingi di Virgilio costituisce un obiettivo imprescindibile per arrivare ad una più fondata e complessiva visione della ricezione del testo virgiliano nel IX secolo.